giovedì 28 Marzo 2024

Crolla il castello di accuse della procura di Piacenza contro i sindacati conflittuali

“La contribuzione e l’attività di proselitismo sono previste e tutelate dall’art.26 dello Statuto dei Lavoratori e il continuo rilancio del conflitto con i datori di lavoro è la vita delle organizzazioni sindacali“: è con queste parole che il Tribunale del Riesame di Bologna ha spiegato le ragioni alla base del provvedimento con cui lo scorso 5 agosto aveva ordinato la scarcerazione dei sei sindacalisti – due di USB e quattro di SI Cobas – che si trovavano agli arresti domiciliari con l’accusa di associazione a delinquere. Quest’ultima era arrivata in seguito ad un’inchiesta della Procura di Piacenza relativa all’attività sindacale nel settore della logistica, che però è stata di fatto sconfessata dal Tribunale del Riesame: se finora ci si poteva basare solo sulle decisioni prive di motivazioni di quest’ultimo, adesso con la recente pubblicazione delle stesse è evidente che l’impianto accusatorio fosse privo di fondamento. “Non c’è stata associazione a delinquere, i delegati e dirigenti Si Cobas e USB agivano in un contesto di attività sindacale di tutela dei lavoratori, per la quale sono lecite anche le modalità conflittuali”, afferma infatti l’Unione Sindacale di Base, la quale dando notizia del rilascio delle motivazioni sottolinea che il tribunale bolognese ha fatto così “cadere il teorema della Procura di Piacenza”.

Secondo quest’ultima, vi sarebbe nello specifico stata la presenza di “associazioni a delinquere”, che come emerso dalle indagini della Digos si sarebbero arricchite grazie alla creazione ad hoc di conflitti che permettevano di intascare “i proventi derivanti dalle sostanziose conciliazioni lavorative e dal tesseramento dei lavoratori”. Se però tali accuse sono state rispedite al mittente, non essendo stati rilevati a carico degli indagati reati come quello di appropriazione indebita, altre restano ancora intatte. Per alcuni reati – tra cui ad esempio l’interruzione di pubblico servizio – rimane in piedi il castello di accuse, ed i sindacalisti scarcerati dovranno sottoporsi all’obbligo di presentazione alla Polizia Giudiziaria per tre volte a settimana: un dato di fatto evidentemente non condiviso dall’USB, che non solo parla di “odioso e ingiustificato provvedimento”, ma definisce i reati ancora contestati come “lotte messe in atto per ottenere diritti e combattere lo sfruttamento dei lavoratori della logistica”. Non solo, perché come sottolineato dallo stesso sindacato a permanere sono anche le “accuse che prevedono pene molto pesanti per oltre 100 delegati sindacali accusati di reati specifici come il blocco stradale, l’invasione di edifici, il sabotaggio (scioperi spontanei) e che segnalano un forte accanimento nell’incessante sostegno alla richiesta delle multinazionali e delle cooperative della logistica di impedire con ogni mezzo che con il conflitto possa essere limitata la loro ‘libertà di impresa’”.

Insomma, se da un lato bisogna specificare che non vi sia stata una vittoria totale per i sindacalisti, dall’altro non si può non sottolineare che a catturare l’attenzione all’interno della vicenda legale è senza dubbio la scarcerazione motivata con la caduta dell’accusa di associazione a delinquere. Era proprio l’arresto dei sindacalisti, infatti, l’argomento sui cui avevano posto maggiormente la lente di ingrandimento i media mainstream, che nei giorni successivi al 19 luglio (quando la Procura di Piacenza aveva disposto i sei arresti domiciliari) avevano ampiamente riportato la notizia. Lo stesso modus operandi, però, non è stato seguito dai mezzi di informazione ora che sono state rilasciate le motivazioni della scarcerazione, delle quali – tranne rare eccezioni – al momento non è stata data notizia.

Eppure si tratta di un dettaglio di notevole importanza, visto che non solo il Tribunale ha smontato l’accusa di associazione a delinquere, ma anche poiché conferisce tutt’altra rilevanza alle posizioni assunte sin da subito dai sindacati in questione. Gli arresti, venivano infatti prontamente descritti dal SI Cobas come “l’offensiva finale da parte di Stato e padroni contro lo straordinario ciclo di lotte che ha visto protagonisti decine di migliaia di lavoratori che in tutta Italia si sono ribellati al caporalato e condizioni di sfruttamento brutale”, mentre l’USB riteneva “evidente il tentativo, questo sì criminale, di cercare di impedire che nei magazzini della logistica, nei luoghi della produzione e della commercializzazione delle merci cresca e si rafforzi il sindacato di classe, conflittuale, che non cede di un millimetro sui diritti dei lavoratori”. Posizioni che ad oggi paiono molto più ragionevoli di quanto potesse sembrare all’epoca, essendosi rivelata priva di fondamento l’accusa di associazione a delinquere.

Del resto, però, non è la prima volta che i due sindacati finiscono nel mirino delle forze dell’ordine: nell’aprile di quest’anno nella sede nazionale di USB, a Roma, nel corso di una perquisizione dei carabinieri era venuta fuori una pistola in quella che, secondo i membri del sindacato, è stata una evidente “manipolazione”, mentre già nel 2021 Mohamed Arafat e Carlo Pallavicini, i due dirigenti SI Cobas, erano stati arrestati nel corso di una manifestazione contro la chiusura di uno stabilimento FedEx a Piacenza e accusati di violazione di edifici, violenza privata e resistenza a pubblico ufficiale. La misura, tuttavia, era stata anche in quel caso revocata dal Tribunale del Riesame.

[di Raffaele De Luca]

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