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Un disastro socioeconomico in Mozambico, firmato dalla multinazionale Total

La compagnia petrolifera francese TotalEnergies sta generando un disastro socioeconomico in Mozambico, con la continua attività di estrazione delle risorse a danno della comunità locale. La multinazionale segue lo stesso schema già utilizzato in Myanmar e in Yemen: sfruttare le ricchezze naturali del Paese, “aggiustando” alla bell’e meglio la popolazione del territorio. Nello Stato africano Total ha basato la sua attività a Cabo Delgado, una provincia nel nord-est del Mozambico, dove è a capo del progetto offshore da 24 milioni di dollari Mozambique Liquid Natural Gas (LNG). [1] Secondo la multinazionale il progetto, grazie alla sua posizione geografica, riuscirà a soddisfare le esigenze dei mercati dell’Atlantico e dell’Asia-Pacifico, del Medio Oriente e del subcontinente indiano, secondo quanto si legge nel sito dedicato. Stando a quanto dichiarato da Total, poi, LNG “si impegna a collaborare con le comunità e i funzionari governativi mozambicani per sviluppare in sicurezza queste risorse in modo da proteggere l’ambiente, incoraggiare ulteriori investimenti stranieri e contribuire alla stabilità sociale ed economica a lungo termine del Paese”. Un’affermazione su cui molti hanno da ridire. 

Per preparare le future estrazioni, la multinazionale sta costruendo l’Afungi LNG Park, 70 km quadrati in cui verranno ospitati l’aeroporto, gli impianti di depurazione, il porto, gli uffici e altre strutture di supporto ai molti progetti e contraenti. Per liberare il territorio dove sorgerà la struttura, l’azienda ha sfrattato più di 550 famiglie che vivevano nella zona. Alcune piccole comunità di pescatori sono state spostate in un “villaggio di trasferimento” nell’entroterra, senza nessun mezzo per accedere al mare e, quindi, per la loro sussistenza. I contadini che hanno perso la terra non hanno ricevuto un miglior trattamento: gli sono stati assegnati terreni piccoli e inadeguati, lontani dalle case in cui sono stati spostati. 

Total si è inserita in un contesto già complesso, caratterizzato dai conflitti tra ribelli ed esercito nazionale fin dal 2017. Quando la multinazionale, tre anni fa, ha deciso di instaurarsi nella zona con il progetto LNG era ben consapevole dei continui attacchi che la popolazione subiva da ambo le parti, ma solo nel 2021, a seguito di un grave attentato dei ribelli vicino a l’Afungi LNG Park, ha deciso di sospendere il progetto temporaneamente. Anche se in un primo momento questo poteva sembrare un risvolto positivo per la popolazione, in realtà la dipartita della multinazionale ha generato ancora più caos: una volta lasciata l’area, Total ha sospeso completamente i pagamenti ai membri della comunità, senza rispettare gli impegni economici presi con i contraenti, tra i quali anche piccole attività locali. Delle rassicurazioni di professioni specializzate, di formazione e di sviluppo, poco è rimasto. E la mancanza dei posti di lavoro promesse e di introiti di denaro aspettati hanno portato ancora più tensioni sociali nell’area. 

Secondo alcune testimonianze degli abitanti locali l’esercito nazionale, che avrebbe dovuto controllare i ribelli e combatterli, ha compiuto frequentemente azioni contro la stessa popolazione, estorcendo soldi o minacciando le famiglie di violenza, fisica e anche sessuale. La compagnia non poteva non essere a conoscenza del modus operandi militare, ma nonostante questo ha chiesto al governo del Mozambico che le sue truppe proteggessero l’azienda, non curandosi delle ingiustizie perpetrate sulla popolazione. Per farlo, il governo aveva assunto anche un’agenzia di sicurezza privata sudafricana, il Dyck Advisory Group (DAG), in modo che si occupasse specificamente di sconfiggere i ribelli. Secondo la popolazione locale, però, proprio degli elicotteri del DAG avrebbero sparato indiscriminatamente sulle case dei civili. 

Non è difficile immaginare il coinvolgimento di Total in questa situazione di conflitto, anche solo per l’affidarsi a governi corrotti e violenti, come già successo ad esempio in Myanmar dove la compagnia ha fornito, attraverso il progetto del gas Yadana, la maggior parte delle entrate all’oppressiva giunta militare, tristemente celebre per la pulizia etnica della popolazione Rohingya. In questo caso come in Mozambico, nel momento di maggiore caos e conflitto, Total si è sempre dichiarata estranea ai fatti annunciando l’interruzione delle operazioni, e riuscendo a rimanere impunita.  

La comunità locale in Mozambico vorrebbe che questa volta le cose andassero diversamente e ha organizzato una campagna Say No to Gas! in Mozambique campaign [2] (StopMozGas), per far sentire la propria voce. L’organizzazione sta inoltre raccogliendo storie e testimonianze della popolazione coinvolta e ha informato l’azienda delle irregolarità e della mancanza di pagamenti a danno dei locali. Sembra che Total non abbia mai risposto. Secondo StopMozGas, l’unico modo per allontanare la presenza di Total dal Paese e tutto quello che questa comporta, è denunciare l’operato della multinazionale e attirare l’attenzione mediatica internazionale.  

In previsione di un inverno difficile sul fronte bollette, sembra improbabile aspettarsi un intervento duro della comunità internazionale sulla compagnia petrolifera francese anche perché, fino ad ora, questo non è avvenuto.

[di Sara Tonini]