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Jean-Luc Godard: “Silenzio, si gira!”

«Je pense depuis longtemps, c’est mon originalité, mon fardeau et mon plaisir, que le cinéma est fait pour penser et pas pour voir»

(Da tempo credo, e questa è la mia peculiarità, il mio fardello e il mio piacere, che il cinema serva a pensare e non a vedere)

Scena da Le Mépris tratto da Il Disprezzo di Alberto Moravia, con protagonisti Brigitte Bardot e Michel Piccoli. Film di Jean-Luc Godard del 1963

Illustre cineasta, uomo di elegante sensibilità, intellettuale che sapeva osservare l’invisibile agli occhi, perché «Il cinema serve a pensare, non a vedere» come lo stesso Jean-Luc Godard amava raccontare. Il regista franco-svizzero appena scomparso all’età di 91 anni, per ferma scelta, intima, libera (Godard è ricorso [1] al suicidio assistito in Svizzera) ha combattuto con strumenti di poesia per comunicare attraverso l’arte ciò che la corruzione linguistica, specchio d’una corruzione d’animo, non era più in grado di esprimere.

«Mais la langue ne sera jamais le langage»

(Ma la lingua non sarà mai linguaggio)

I capolavori di Jean-Luc Godard sono invece entrati nel cuore degli spettatori e hanno segnato un nuovo modo di fare cinema proprio della Nouvelle Vague, uno dei movimenti cinematografici più importanti del secolo scorso e di cui ancora palese è l’influenza (basti guardare Tarantino, grande estimatore di Godard e amante della Nouvelle Vague).

Jean-Luc Godard, fonte: Mubi, link: https://mubi.com/it/cast/jean-luc-godard

Per tornare alla vita, fluida e in continuo movimento, vera e alle volte dolcemente violenta, sarebbe stato necessario ascoltare distaccandosi dall’epoca della cultura di massa e di consumo, quasi tuffandosi in una nostalgia romantica per poi imparare a superarla. E se dopo l’immersione è possibile la creazione, e la condivisione, così Jean-Luc Godard si è lasciato avvolgere da quel mare di nebbia che il Viandante osservava sublimato, generando con il proprio impatto una “Nuova onda” (Nouvelle Vauge).

Il regista nato a Parigi nel 1930 è stato uno dei padri di un modo di fare cinema che non “raccontasse”, che non accontentasse, ma che facesse riflettere ri-creando. Imparare e sognare non attraverso una finzione, bensì attraverso la realtà esattamente come appare, ponendo piuttosto un sguardo da sogno sull’autenticità del reale.

Jean-Luc Godard, intervista per il film Le Mépris del 1963, tratto da Il Disprezzo di Alberto Moravia, con Brigitte Bardot e Michel Piccoli, fonte: https://youtu.be/XJbPHboAsbQ

Un cinema in grado di cogliere la dinamicità propria dell’azione, e del pensiero. E che come uno specchio, permettesse una visione non solo “al di fuori di sé” ma interna all’io profondo in connessione col mondo. La Nouvelle Vague di cui Godard è stato uno dei padri, ha permesso la rottura con una comunicazione ormai riconosciuta come “contaminata” e lontana dall’autenticità, confermandosi come un movimento poliedrico e polisemico, in cui reinventare e reinventarsi, sperimentare e scoprire. Ciò non ha mai voluto dire meramente distruggere per poi ricostruire, ma liberare per «Tornare a pensare» e a sentire. Riutilizzare strumenti, sentendo la macchina, facendosi travolgere dalla realtà.

«Il linguaggio è la casa nella quale l’uomo abita» risponde il personaggio di Marina al figlio Cristophe, in Deux ou trois choses que je sais d’elle film del 1967 che Jean-Luc Godard realizzò con uno stile non lontano da un reportage sociologico, impegnato, e che ovviamente rimane innanzitutto manifestazione artistica di un uomo in grado di ricevere prima di dare e condividere dopo aver lasciato la verità respirare nel mondo.

Il regista Jean-Luc Godard e l’attrice Anna Karina, nell’anno in cui si sono uniti in matrimonio (1961)

Il vero senso da ritrovare nel nonsenso della stessa vita riprendendo il quotidiano in tutta la sua – spesso violenta – bellezza. E per quanto la ricerca di Godard così come quella di altri grandi esimi nomi di una vera e propria rivoluzione cinematografica nata alla fine degli anni Cinquanta del Novecento quali Trauffaut, Rohmer, Resnais, Rivette, Bazin, possa apparire “dadaista”, la purezza del momento e la verità dei sentimenti umani, contestuali, malleabili, ma potenti, esistenti, più veri del detto aiutano a trasgredire, ma creando qualcosa di nuovo e di chiaro.

«Je ne veux parler que de cinéma, pourqoui parler d’autre chose? Avec le cinéma on parle de tout, on arrive à tout»

(Voglio parlare solo di cinema, perché parlare di altro? Con il cinema si parla di tutto, si arriva a tutto)

Con la Nouvelle Vague il cinema diventa a tutti gli effetti un linguaggio, non più solo tecnica ma anche uno stile. Jean-Luc Godard aveva scelto di utilizzare gli strumenti esistenti per fare cinema e non per “realizzare una finzione” e con la sequenza di immagini di un momento reale «Si parla di tutto, si arriva a tutto».

Jean-Luc Godard intervista a Cannes dopo il successo di À bout de souffle, 1960. Fonte: https://youtu.be/uuNAUmqJd1Q

“Lasciando andare” Godard aveva trovato il modo di arricchire, così la parola la quale «È ciò che si tace» (da La chinoise, Jean-Luc Godard, 1967) era secondaria rispetto alla potenza di un mezzo espressivo in grado di cogliere le dicotomie interne alla stessa realtà.  Il tangibile è elevato verso il fantastico, sciogliendo la freddezza emotiva per tornare a pensare, grazie a una libertà espressiva nata dall’uso molto accurato della tecnica cinematografica, con cromatismi icastici, scelte liriche e immagini impattanti, citazioni letterarie e suoni suggeriti dalla stessa arte, dove la narrazione si distacca dalla solita arte cinematografica per dare spazio agli elementi più diversi, pieni di valore e potere comunicativo.

In questo modo, lo spettatore può tornare a “Guardare con i sentimenti” («Tu me parles avec des mots, je te regarde avec des sentiments» da una delle frasi più celebri di Pierrot le Fou, lungometraggio che il regista franco-svizzero realizzò nel 1965 in cui è evidente la spontaneità ricercata da Godard così come il distacco dal modo di comunicare del cinema classico).

Il bandito delle undici (Pierrot le fou), 1965, regia di Jean-Luc Godard con Jean-Paul Belmondo e Anna Karina

Per ricordare davvero l’impronta di Jean-Luc Godard dopo la sua scomparsa sarebbe bene rimembrare ciò che Platone ben prima del cineasta insegnava, ovvero che la morte rappresenta la liberazione dai vincoli del mondo sensibile.

«Toute histoire doit avoir un début, un milieu et une fin mais pas forcément dans cet ordre-là»

(Ogni storia deve avere un inizio, una parte centrale e una fine, ma non necessariamente in quest’ordine)

Ed ecco come il regista francese si è fatto paladino de la mort du langage, perché dare voce al nulla emotivo e alla freddezza del perbenismo avrebbe solo che continuato a definire e limitare, ma utilizzando un ensemble di arti e codici fusi tra loro (il cinema, non a caso anche conosciuto come la Settima Arte) mostrando senza filtri la cruda bellezza del reale, si sarebbe arrivati all’indipendenza.

«On est dans une phase de l’humanité relativement totalitaire, à cause de la langue qui n’est pas le langage»

(Siamo in una fase dell’umanità relativamente totalitaria, a causa della lingua che non è il linguaggio)

Il vero dialogo per Godard andava ben oltre le parole e il silenzio è stato amante paziente, capace di placare l’inquietudine interna agli animi costretti in forme inumane. Fino all’ultimo respiro  (ricordando uno dei più celebri film del regista, À bout de souffle del 1960) Jean-Luc Godard ha saputo spogliarsi di ciò che potesse limitare la propria libertà espressiva, “salutando” la lingua dal principio alla fine (Adieu au langage, uno degli ultimi lavori di Godard risale al 2014), ma trasmettendo messaggi che fanno pensare a quanto la realtà sia ben più vasta delle attuali certezze.

«Ciò che è difficile è trasformare la profondità in piattezza» Jean-Luc Godard, intervistato a Cannes nel 2014. Link: https://youtu.be/Bou1w4LaqMo

«Il y a le visible et l’invisible. Si vous ne filmez que le visible, c’est un téléfilm que vous faites»

(Esistono il visibile e l’invisibile. Quando filmate solo il visibile, allora non state creando altro che un film per la TV)

[di Francesca Naima]