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La transizione può attendere: l’Italia rimette a pieno regime le centrali a carbone

“Il conflitto russo-ucraino ha posto la necessità di adottare misure d’urgenza per garantire la sicurezza degli approvvigionamenti nazionali”. Con queste parole si apre “Piano Nazionale di Contenimento dei Consumi di Gas Naturale” pubblicato dal Ministero della Transizione Ecologica. Tra le misure d’urgenza previste si parla di massimizzare la produzione a carbone e olio delle centrali esistenti. Una misura da sola capace di contravvenire ogni proposito di transizione ecologica espresso negli ultimi anni, ma giudicata necessaria per provare a garantire il fabbisogno energetico del Paese al netto della riduzione delle forniture provenienti da Mosca. Il Piano, se attuato, riguarderà le sette centrali presenti nel territorio italiano, sei a carbone e una a olio. Quattro di queste sono gestite da Enel (Fusina, Brindisi, Torrevaldaliga e Portovesme), una dalla compagnia Ep (società italiana di generazione elettrica del Gruppo ceco EPH) a Fiume Santo (Sassari) e una della società bresciana A2a, a Monfalcone (Gorizia). A questi si aggiunge l’impianto a olio combustibile situato a San Filippo del Mela (Messina), anch’esso gestito da A2a. Tutte le centrali elencate, secondo il “Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima” (PNIEC), dovrebbero essere dismesse o riconvertite entro la fine del 2025 a causa del loro potenziale inquinante, ma nonostante questo sono chiamate ora a massimizzare la produzione.

Nel 2021 il fabbisogno italiano di gas naturale è stato coperto al 40% dal gas russo. Oggi, secondo il Ministero della Transizione Ecologica [1], il conflitto russo-ucraino ha generato, tra le altre, due necessità immediate: “assicurare un elevato grado di riempimento degli stoccaggi per l’inverno 2022-2023”, e “diversificare rapidamente la provenienza del gas importato”. Per poter sostituire le forniture di gas provenienti dalla Russia, continua il Ministero, sarebbe necessario aumentare sia le importazioni via gasdotto che la produzione nazionale di gas. Secondo le previsioni del ministero, l’insieme di queste iniziative consentirebbe di “sostituire entro il 2025 circa 30 miliardi di Smc (standard metro cubo) di gas russo con circa 25 miliardi di Smc di gas di diversa provenienza”. La differenza 5 miliardi di Smc, continua la previsione, sarebbe da colmare tramite l’utilizzo di fonti rinnovabili e con delle politiche di efficienza energetica.

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La centrale a carbone di Torrevaldaliga (Civitavecchia) – Secondo stime del WWF [3] nel solo anno 2015 ha causato l’emissione di 10,74 milioni di tonnellate di C02 e 92 morti premature

Inoltre, il Ministero sottolinea “l’opportunità di massimizzazione della produzione termoelettrica con combustibili diversi dal gas”: principalmente carbone e olio combustibile, nel breve periodo, ma anche bio-liquidi. Poi, mette sul piatto “misure di contenimento relative al riscaldamento invernale”, sia per quanto riguarda il settore privato che per quanto riguarda il settore pubblico. Ultime ma non per importanza: delle campagne di sensibilizzazione. L’insieme del contributo atteso dalle misure porterebbe a una riduzione dei consumi. Una riduzione “coerente con il 15% del Regolamento UE, pari quindi almeno a 8.2 miliardi di Smc di gas naturale”. In particolare, il Ministero stima che la massimizzazione della produzione a carbone e olio delle “centrali esistenti regolarmente in servizio contribuirebbe per il periodo 1° agosto 2022 – 31 marzo 2023 a una riduzione di circa 1,8 miliardi di Smc”. Infine, il Ministero conferma gli impegni di decarbonizzazione, presi con l’UE e con i cittadini. Per ora, si è giusto in attesa del via libera, a seguito di verifiche tecniche, all’aumento della capacità degli impianti a carbone e olio combustibile

Lo scorso Febbraio Legambiente, Greenpeace e Wwf scrivevano che “pensare di riattivare gruppi termoelettrici a carbone o a olio combustibile è un’opzione irrilevante”. Inoltre, sostenevano che, stando a una produzione massima delle centrali, i risparmi sarebbero “praticamente nulli”. Almeno, “al confronto del contributo che garantirebbe lo sviluppo strutturale e convinto delle fonti rinnovabili, dell’efficienza energetica, del sistema di pompaggi e accumuli e della rete di trasmissione e distribuzione”. Profondamente diverso quanto scritto [4], ad esempio, sul Sole 24 Ore, storico bollettino ufficioso delle posizioni di Confindustria e del capitalismo italiano: “visto che tutte le centrali italiane sono già operative, in certi casi rimesse in funzione ad hoc su invito del governo nei recenti mesi di crisi, sono tutte pronte per rispondere all’appello a produrre ancora un po’ di più. Pur essendo centrali vecchie sono perfettamente a norma rispetto alle regole italiane sulle emissioni, che sono più severe di quelle europee. E tutte le centrali italiane a carbone e a olio combustibile hanno filtri ai camini”. Tuttavia, la produzione di energia dalla fonte più inquinante e impattante sul clima salirà del 125%. Così come le emissioni: il solo impianto di Torrevaldaliga, ad esempio, produce annualmente oltre 8 miliardi di tonnellate di anidride carbonica.

[di Luca Paltrinieri]