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Stripe blocca le donazioni alla ONG italiana Still I Rise: è un “attacco politico”

Lo scorso 24 agosto la ONG italiana Still I Rise, che si occupa di garantire la possibilità di ricevere un’istruzione ai minori profughi che si trovino in contesti particolarmente difficili, ha denunciato il blocco dell’account Stripe utilizzato per ricevere le donazioni messo in atto dalla stessa azienda, la quale detiene il controllo pressoché monopolistico del settore dei pagamenti online e che non ha fornito alcuna spiegazione circa le motivazioni della chiusura. Questa, riferisce l’onlus, è avvenuta a seguito della richiesta di chiarimenti sulla natura delle attività svolte ad al-Dana, nel nord-ovest della Siria, zona nella quale Still I Rise ha aperto una scuola per i bambini sfollati interni. L’azienda si è riservata il diritto di non fornire ulteriori spiegazioni sulla causa della chiusura dell’account, mossa che, come riferito a L’Indipendente dal fondatore di Still I Rise Nicolò Govoni, «non ha precedenti nel mondo del no profit» e che, per il suo tempismo, solleva molti dubbi circa le reali motivazioni.

I fatti risalgono a fine giugno, quando sono stati bloccati i bonifici con carta di credito di circa 2000 donatori ricorrenti, causando all’organizzazione una perdita che ad oggi ammonta ad “almeno 100 mila euro”, come riferito in un comunicato stampa [1] emesso da Still I Rise. In merito alla vicenda Stripe avrebbe fornito “comunicazioni contrastanti” e “non utili” al fine di comprendere la loro decisione. A ciò si è aggiunto “il danno provocato dal non metterci a disposizione tutti i dati dei nostri donatori ricorrenti per poter facilitare il passaggio a un altro fornitore dello stesso servizio” spiega Massimo Pesci, Direttore Fundraising di Still I Rise.

«Sul nostro dashboard dell’account Stripe, che è chiuso ma ancora visibile, si può vedere che la nostra incidenza di rischio, da un punto di vista di frodi, storni e pagamenti rimbalzati, è più bassa della media. Quando siamo andati da un competitor per intavolare una discussione anche loro ci confermarono che non è per quello che ci hanno chiusi: non è chiaro il perché, ma non si tratta di una questione di pagamenti» ci spiega Govoni, 29 anni, candidato nel 2020 al Premio Nobel per la Pace. La chiusura dell’account, che Govoni definisce [2] un “attacco politico”, è avvenuta in seguito alla richiesta di maggiori informazioni riguardo le attività svolte da Still I Rise in Siria. In precedenza, l’azienda aveva chiuso l’account di un’unica ONG [3] operante nel nord-ovest del Paese, A Muslim in Need, una piccola organizzazione siriana accusata di aver violato le regole di tesoreria degli Stati Uniti e aver inviato denaro in Siria dopo che Damasco era stata inserita nell’elenco delle sanzioni dell’Office of Foreign Asset Control (OFAC) nel 2011, in seguito allo scoppio della guerra.

Secondo Govoni, il tempismo della vicenda non è affatto casuale. «Si tratta della parte della Siria fuori dal controllo di Assad, e non penso che sia casuale: primo perché la Siria è sotto embargo americano e Stripe è americana, ma questo ormai da tempo; secondo, con la polarità tra USA e Russia, esacerbata dalla crisi ucraina, bisogna quantomeno considerare un altro tipo di discorso, ovvero che Assad è alleato russo e che Stripe è una multinazionale americana. Senza balzare a conclusioni, sarebbe ingenuo non fare questo tipo di considerazioni».

Still I Rise è nata nel 2018 per rispondere alla necessità di fornire un’educazione e un luogo protetto ai minori che si trovavano nell’hotspot di Samos, in Grecia. Qui nel 2018 è stato aperto Mazì, il primo centro giovanile per l’educazione informale: da allora, l’organizzazione ha aperto scuole di emergenza e internazionali in contesti quali la Siria, la Repubblica Democratica del Congo, il Kenya e la Turchia. L’ONG non è scevra da una certa connotazione politica, essendo impegnata in Siria anche a riportare al centro del dibattito pubblico il conflitto in corso da 11 anni e promuovendo attività volte a impedire la riabilitazione a livello internazionale del regime di Bashir al-Assad.

«Noi non riteniamo si tratti di un attacco personale, quanto più di un automatismo – aggiunge Govoni – si tratta di un sistema (quello di Stripe, come quello di Facebook, che ci sta oscurando) ideato per limitare tutto ciò che è anomalo e di disturbo. Noi siamo un’organizzazione no profit anomala: non prendiamo soldi da nessuno dei loro stakeholders né abbiamo affiliazioni politiche, tutti i soldi che riceviamo vengono da persone singole, non da governi, organizzazioni pubbliche, Unione europea o Nazioni unite. La piattaforma che ci discrimina, inoltre, non è considerabile solo più un servizio privato. Se oggi i pagamenti online sono solo una minima parte rispetto a quelli fisici, un giorno i due si equivarranno: si potrà ancora parlare di realtà privata, quando la metà dei pagamenti effettuati da un Paese passerà attraverso un’unica multinazionale? Stripe ha pressoché il monopolio del settore. Si tratta di una previsione davvero distopica». L’organizzazione non ha intenzione di arrendersi e ha annunciato l’avvio una battaglia legale contro la multinazionale americana.

[di Valeria Casolaro]