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Pedemontana Veneta: 12 miliardi per 94 km di strada, pagano i cittadini

Una superstrada a pagamento lunga appena 94 chilometri rischia di costare allo Stato 12 miliardi. Tre volte il costo stimato per il Ponte sullo Stretto di Messina. Una strada oltretutto di dubbia utilità, capace di fare guadagnare pochi minuti rispetto ai percorsi già esistenti per andare dalla provincia di Vicenza a quella di Treviso. A fare le stime sui costi esorbitanti dell’opera non è stato qualche comitato locale, ma direttamente la Corte dei Conti. Si riapre così il capitolo di un’opera da tempo contestata, sia per l’impatto ambientale che per l’irragionevolezza del contratto firmato dall’amministrazione veneta, concepito per tutelare l’appaltatore privato da ogni rischio d’impresa, riversando lo stesso direttamente sulle tasche dei cittadini. Un accordo che Laura Puppato, ex sindaca di Montebelluna (uno dei Comuni attraversati dall’opera) ha sintetizzato con queste parole: «Neanche da ubriachi si poteva firmare una cosa del genere».

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Il tracciato della Pedemontana Veneta [fonte: Wikimedia Commons]

Se la tratta non sarà percorsa da un numero sufficiente di auto e quindi gli incassi al casello saranno inferiori alle attese, sarà la Regione a mettere i soldi. Questo il fulcro dell’accordo contrattuale raggiunto del 2016 con il Sis, il concessionario privato che ha progettato e sta realizzando l’opera: per i prossimi 40 anni, oltre a un contributo straordinario di 300 milioni di euro, l’amministrazione di Luca Zaia si è impegnata a garantire un canone annuo di 153 milioni di euro [2]a favore del Consorzio costruttore. Canone annuo destinato però ad aumentare nel tempo, fino a toccare quota 332 milioni annui al 2059. Per un totale quindi, a termine degli accordati anni di oltre 12 miliardi: più di 100 milioni di euro al chilometro. Se n’è accorta anche la Corte dei Conti, che in uno studio pubblicato nel 2018 e riportato dal Fatto quotidiano [3], dice che “a fronte di un costo inferiore a 3 miliardi, con il nuovo assetto convenzionale la Regione Veneto subirà un esborso nei confronti del privato pari a oltre 12 miliardi”.

Soldi che saranno prelevati dalle tasse e che faranno schizzare, tra le altre cose, i pedaggi alle stelle. Quello con il consorzio è una tipologia di accordo che prende il nome di “project financing”, utilizzato quando le risorse pubbliche non sono sufficienti a coprire in quel momento determinati costi. In altri termini, si tratta di “un’operazione di tecnica di finanziamento a lungo termine di un progetto in cui il ristoro del finanziamento stesso è garantito dai flussi di cassa previsti dalla attività di gestione dell’opera stessa”. Insomma, il privato finanzia il pubblico con la garanzia di un ritorno economico, a prescindere dalle effettive entrate. Un tipo di accordo che privatizza i profitti e socializza le perdite, proteggendo a spese dei cittadini l’azienda appaltatrice da ogni rischio di impresa.

E alla fine, facendo due calcoli, la Pedemontana potrebbe costare tre volte lo Stretto di Messina – di cui “solo” 170 milioni provenienti da enti pubblici – per far risparmiare agli automobilisti qualche minuto. «Dieci minuti di tempo risparmiato a fronte di un costo di euro 4 per percorrere soli 25 Km. Non solo, 120 euro al mese, per un lavoratore pendolare e 823 ettari di terreno cementificato per costruire la super strada pedemontana» e zero esenzioni per i locali, ha commentato [4] Cristina Guarda, eurodeputata. E ancora. Anche se la Regione avrà il diritto ad incassare i pedaggi, i ricavi derivanti da questi potrebbero essere ancora più bassi soprattutto alla luce di una possibile riduzione del 13% del traffico rispetto alle stime iniziali, tema su cui discutono i magistrati.

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Il presidente del Veneto Luca Zaia all’inaugurazione dell’opera, l’8 luglio 2022

I ritardi di certo non hanno giovato: fino a quando non saranno realizzati tutti i 94 chilometri di strada (più almeno altri 50 che collegheranno Spv e viabilità ordinaria) si perderanno milioni di euro di incassi di pedaggi. Non erano queste le previsioni di Luca Zaia, presidente del Veneto, secondo cui non solo la Spv non avrebbe portato perdite, ma anzi avrebbe fruttato cospicui guadagni. Una visione che, a dir la verità, in tanti – a cominciare da cittadini e comitati locali – denunciavano da tempo come del tutto irragionevole.

Anche perché, di tempo per valutare rischi e costi ce n’è stato. L’opera è stata inserita nel piano regionale dei trasporti del Veneto nel 1990: negli anni a venire è stata protagonista di numerosi scandali, ricorsi, esposti di comunità intere contro la sua realizzazione, valutata più volte come “inutile, dannosa e costosissima” soprattutto per via dell’alto consumo di suolo. Secondo l’Arpa [6] (Agenzia regionale per la protezione ambientale), complessivamente nel Veneto il consumo ammonta a quasi 218mila ettari, pari cioè al 12,55% della superficie totale regionale. Percentuale molto più alta del 7,11% della media nazionale e del 4,2% della media UE.

I danni si contano già da parecchi anni. Quei tratti di strada sono spesso teatri di allagamenti (come si vede in queste immagini [7]): le falde acquifere a pochi metri dalla superficie, unite alle colate di cemento impediscono all’acqua di scendere, di essere assorbita dal terreno. Una specie di barriera. Per non parlare delle polveri sottili derivate dai cantieri, che spingono i livelli di Pm10, Pm2.5 e metalli alle stelle.

Per molti sarebbe stato più opportuno, anche in vista della svolta green europea, investire quel denaro per finanziare nuovi treni e potenziare il trasporto pubblico. Invece ad oggi, per cercare di far quadrare i conti di un piano che non potrà essere attuato per come era stato pensato, la Regione sta spingendo i veneti ad utilizzare la Pedemontana il più possibile, privilegiando il trasporto via auto. Oltre al danno economico, la beffa ambientale in uno dei territori europei con il più alto numero di morti per inquinamento atmosferico.

[di Gloria Ferrari]