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L’Italia dovrà pagare la multinazionale per lo stop alle trivelle

L’Italia dovrà versare 190 milioni di euro nelle casse della società petrolifera Rockhopper Exploration per aver fermato sul nascere il progetto relativo alla piattaforma petrolifera “Ombrina Mare”, che sarebbe dovuta sorgere al largo della Costa dei Trabocchi, in provincia di Chieti. A renderlo noto è stata la stessa multinazionale inglese, che tramite un comunicato [1] si è detta “lieta di fornire il seguente aggiornamento”, specificando che l’Italia dovrà altresì compensare gli “interessi del 4% capitalizzati annualmente dal 29 gennaio 2016 fino al momento del pagamento”. È questo dunque l’esito dell’arbitrato internazionale intrapreso nel 2017 dalla società dopo che, proprio nel 2016, erano state fermate le trivelle non essendo più stato rilasciato il titolo.

Sostenendo che il mancato rilascio della concessione petrolifera “Ombrina Mare” avesse violato il Trattato sulla Carta dell’Energia [2] – un accordo internazionale sulla cooperazione nell’industria dell’energia e dei combustibili fossili – la società si è infatti rivolta al Centro internazionale per il regolamento delle controversie (Icsid), ovverosia l’organismo deputato a gestire le controversie internazionali di questo tipo in base al Trattato. Quest’ultimo, a quanto pare ha pienamente accolto la tesi della multinazionale. “Il collegio arbitrale ha ritenuto all’unanimità che l’Italia avesse violato i propri obblighi ai sensi del Trattato sulla Carta dell’Energia che autorizzava Rockhopper al risarcimento”, si legge infatti nel comunicato diffuso dalla società, la quale ha altresì sottolineato che “l’Italia ha 120 giorni di tempo per chiedere l’annullamento del lodo arbitrale, che però può essere annullato solo in circostanze limitate”.

Lo stop alle trivelle, come detto deciso nel 2016, era stato attuato dal Ministero dello Sviluppo economico (titolare Federica Guidi), che aveva fermato [3] le autorizzazioni per la ricerca di idrocarburi offshore, in mare, entro le 12 miglia dalla costa, ovverosia poco più di 22 chilometri. La decisione – con cui erano state negate 27 autorizzazioni – era arrivata in seguito alle tante proteste e battaglie dei cittadini del litorale adriatico e delle associazioni ambientaliste, che adesso ovviamente criticano il pagamento imposto all’Italia. In tal senso, a finire nel mirino è proprio il Trattato sulla Carta dell’Energia, da cui il nostro Paese negli scorsi anni ha receduto dopo averlo sottoscritto più di 20 anni fa. Secondo il Forum H2O – una delle associazioni ambientaliste che più si era battuta nella vicenda Ombrina – si tratterebbe [4] infatti di un trattato “truffaldino”, grazie al quale “le multinazionali possono fare causa contro le leggi dello Stato”: un’eventualità dalla quale l’Italia ancora non è esente visto che, come ricordato dall’associazione, “anche uscendo dal trattato c’è una clausola che permette di fare causa per i decenni successivi”.

[di Raffaele De Luca]