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L’Italia destina 200 milioni per gli stipendi dei professori, ma solo in Ucraina

Il governo italiano ha siglato un accordo di prestito con quello di Kiev nel quale si impegna a fornire fondi per il pagamento dei salari degli insegnanti ucraini: l’Italia ha stanziato a tale scopo 200 milioni di euro, sotto forma di prestito con un rassicurante piano di rientro con interessi a tasso zero. Nel comunicato [1] del Ministero dell’Economia e delle Finanze, si legge che il prestito fa parte di un programma della Banca Mondiale denominato PEACE (Public Expenditure for Administrative Capacity Endurance in Ukraine), sarà gestito da Cassa Depositi e Prestiti e «sarà oggetto di successiva rendicontazione al Parlamento».

Pare, dunque, che a fronte dei cospicui tagli al settore scolastico portati avanti negli ultimi anni, il governo italiano non abbia esitato a finanziare con ingenti risorse quello di Paesi stranieri: sebbene infatti sia comprensibile la dichiarata finalità solidaristica del governo di Roma a favore di Kiev, si tratta certamente di una notizia che permette di destinare uno sguardo alle politiche scolastiche del governo italiano, che pare non dare rilevanza al settore dell’istruzione in casa, tanto da aver destinato ai propri insegnanti fondi assai minori di quelli concessi all’Ucraina.

La sottrazione di fondi a questo settore in Italia non si arresta da tempo: nel 2020, la spesa [2] per l’educazione scolastica si è abbassata al 3,5%, a fronte del 3,8% investito nel 2017, quando la media europea era del 4,6%. Ma la situazione è prevista persino in peggioramento nei prossimi anni: per il 2025, infatti, la quota di PIL destinata alla scuola scenderà al 3,3%, fino alla soglia minima del 3,1% nel 2035. Su questi presupposti, non stupisce che quelli dei docenti italiani siano gli stipendi tra i più bassi d’Europa. Lo stipendio medio di un insegnante di scuola superiore, infatti, è pari a 25.829 euro lordi l’anno, di poco inferiore agli stipendi degli insegnanti francesi e inglesi, ma molto lontano dai compensi, ad esempio, di un docente tedesco che percepisce circa 58.542 euro all’anno.

Tuttavia, quello delle risorse destinate all’istruzione non è l’unico problema che affligge la scuola italiana: altrettanto preoccupanti sono le riforme dell’organizzazione interna degli istituti scolastici che si sono succedute nel corso degli ultimi trent’anni [3]: a partire, infatti, dalle riforme dell’ex ministro della PI, Luigi Berlinguer, furono introdotte nelle scuole logiche e gerarchie aziendali che hanno portato ad uno svilimento del ruolo dei docenti e a una competizione crescente tra gli studenti e tra gli stessi insegnanti. Così la figura del Preside si è trasformata in quella del “dirigente-manager”, facendo venire meno quel principio del Preside come Primus inter pares che aveva reso possibile il confronto e la libera circolazione delle idee e riducendo i docenti a meri esecutori dei programmi stabiliti dalla “dirigenza”.

Ma oltre al danno, la beffa: al “dirigente-manager”, infatti, verrà presto affiancata la figura del “docente esperto [4]”, una sorta di super professore che guadagnerà in media 400 euro mensili in più rispetto ai colleghi, creando così docenti di serie A e di serie B. La figura del super professore non è nient’altro che la conferma della crescente gerarchizzazione della scuola, intesa sempre più come azienda e in cui, dunque, la formazione non può che trasformarsi in merce di scambio, gli alunni in clienti e i docenti in manager. In questo modo il neoliberismo è entrato a scuola, utilizzando i definanziamenti e l’avanzata della logica imprenditoriale delle istituzioni accademiche.

I risultati di questo stravolgimento del sistema educativo non sono di certo incoraggianti: sebbene, infatti, la dispersione scolastica sia in calo, il nostro Paese è lontano dall’obiettivo fissato dall’UE sulla formazione superiore che richiede almeno il 40% dei diplomati in questo grado d’istruzione. L’Italia, infatti, con un misero 27,6% si colloca tra i Paesi col livello d’istruzione superiore più basso d’Europa insieme a Bulgaria, Ungheria e Romania, stando ai dati [5] del 2020.

Uno scenario che richiederebbe immediati provvedimenti, a cominciare da un maggiore finanziamento del settore, per invertire tendenze sempre più negative che incidono sulla formazione delle nuove generazioni, e che non permette di certo di regalare letteralmente fondi a Stati esteri, per quanto in difficoltà siano questi ultimi. A questo scopo, infatti, esistono istituzioni preposte, quali appunto la Banca Mondiale di cui fa parte il programma PEACE cui ha aderito il governo italiano. In una situazione di forte instabilità economica e politica e di grave dissesto della scuola pubblica sarà infatti difficile che i contribuenti italiani approvino con entusiasmo la scelta della politica di foraggiare gli stipendi dei docenti ucraini. Anche se chiaramente non è questo il problema della mancanza di fondi destinati alla formazione in Italia, che – come abbiamo visto – si nutre di scelte che paiono organiche e deliberate.

[di Giorgia Audiello]