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Campi di riso e mais concimati con i fanghi delle fognature? Incredibile ma vero

Quel che resta dello scarto degli impianti di depurazione fognaria diventa fertilizzante sui campi coltivabili. Tutto legale, permesso dalle normative europee, a patto che il fango che fuoriesce dal depuratore fognario prima, e dagli impianti di trattamento poi, sia stato trattato secondo la procedura prevista e presenti valori di sostanze chimiche tossiche che sono al di sotto dei limiti di legge previsti. Quale è il trattamento che si effettua negli impianti di trattamento dei fanghi? Si aggiunge acqua e calce al fango che arriva dal depuratore fognario, tutto qui. Una notizia sconvolgente, che ha fatto riflettere l’opinione pubblica, perlomeno quella fetta di cittadini che è riuscita ad intercettare la notizia.

La pratica era già stata portata alla luce nel novembre 2017, a seguito di un’inchiesta giornalistica [1] della trasmissione condotta dalla giornalista Sabina Giannini Indovina chi viene a cena (RAI 3).

Occupandomi per lavoro di analisi delle filiere alimentari e della qualità del cibo che troviamo in vendita nei supermercati, mi pare invece doveroso dare a voi lettori delle informazioni molto precise su questi fatti, dal momento che risulta ancora oggi una pratica di routine nelle coltivazioni agricole nonostante dall’inchiesta RAI siano emerse delle criticità molto elevate per la salute della popolazioni, in particolar modo nella Regione Veneto, come mostrerò tra un attimo. Si badi bene che la pratica dello spandimento dei fanghi non è esclusiva del Nord Italia ma interessa anche [2] altre regioni del centro e sud Italia. Da segnalare però anche la pratica di invio dei fanghi da una regione all’altra, in Lombardia ad esempio, che è la regione che effettua più spandimenti in assoluto, arrivano su base regolare i fanghi da Puglia, Lazio, Veneto e Liguria.

Cosa sono i fanghi di depurazione?

[3]

I fanghi sono un sottoprodotto inevitabile del processo di depurazione delle acque reflue. Ogni giorno, solo nella città di Milano [4], vengono depurati circa 600.000 metri cubi di acque reflue. Le acque reflue non sono altro che i liquami delle nostre fognature. A causa del processo di depurazione si calcola che ogni anno in Italia vengono prodotti un milione di tonnellate di fanghi di depurazione (sostanza secca). Si tratta di quantitativi enormi che occorre smaltire. Come si smaltiscono i fanghi di depurazione? Uno dei sistemi più utilizzati per lo smaltimento è lo spargimento su terreni agricoli, mentre un altro sistema, più costoso per l’impianto di depurazione che deve fare lo smaltimento, è quello dell’invio all’inceneritore. I fanghi sono da tempo utilizzati come fertilizzanti in agricoltura, dal momento che contengono fosforo e azoto, materie di base per i terreni. 

Ci sono dei rischi derivanti dall’utilizzo dei fanghi di depurazione nel settore agricolo?

L’utilizzo dei fanghi di depurazione come fertilizzanti presenta alcune criticità, riconducibili alla possibile presenza di composti organici nocivi molto tossici. Si tratta in particolare di:

Lo spandimento dei fanghi in agricoltura è quindi associato a problematiche di inquinamento dei suoli, delle falde acquifere e potenzialmente delle colture per consumo animale e umano. 

Il caso del Veneto e delle province di Lodi e Pavia

Abbiamo detto che la Lombardia è la regione che in assoluto fa più spandimenti di fanghi in agricoltura, e sui suoi terreni agricoli, in particolare nella zona di Pavia, dove avviene la più grande produzione di riso in Italia, si riversano fanghi provenienti anche da altre regioni italiane. Arrivano fanghi anche dal Veneto, nonostante sia stato accertato [5] da tempo qui, l’inquinamento diffuso da sostanze chimiche [6] utilizzate dall’industria, bioaccumulabili e potenzialmente tossiche, ritrovate nelle acque superficiali, nelle falde e negli alimenti. Stiamo parlando dei PFAS [7]. La diffusione di queste sostanze e la crescente preoccupazione ha spinto la regione Veneto a far analizzare il sangue della popolazione più giovane. Dallo screening PFAS delle ASL venete è emerso [8] che gli adolescenti avevano valori di Pfas fino a 30 volte più alti della soglia ritenuta di guardia da un punto di vista sanitario. Questi ragazzi sono oggi obbligati a sottoporsi ad una particolare procedura per ripulire il loro sangue [1]e ridurre così il pericolo di contrarre una delle tante patologie che le ricerche scientifiche associano ai PFAS, come leucemie e tumori della tiroide. Il dato molto grave riguarda una carenza di legge, che fino al 2017, non prevedeva in Italia il controllo di queste sostanze nelle contaminazioni delle acque di falda e meno ancora nei fanghi residui del processo di depurazione delle acque reflue. 

Il 6 aprile 2018, 51 sindaci di altrettanti comuni del Lodigiano e del Pavese chiedevano [9] al Tar Lombardia di annullare una delibera della Regione Lombardia che aumentava di ben 200 volte i limiti di legge dei residui di sostanze tossiche presenti nei fanghi destinati all’agricoltura, considerando un fatto gravissimo questo pesante aumento dei limiti che consentiva di utilizzare come concimi per prodotti alimentari fanghi con contenuti di idrocarburi di gran lunga superiori ai 500 mg/Kg, limite oltre il quale un terreno non può avere altra destinazione d’uso che quello di “una discarica di rifiuti”. Il 20 luglio 2018 il ricorso veniva accolto dal Tar Lombardia, con sentenza n.1782/2018, la quale annullava la predetta delibera regionale, confermando i limiti indicati dalla Cassazione in una sentenza del 2017. Sentenza che aveva stabilito i limiti di residui tossici (idrocarburi) nei fanghi a 50 mg/Kg, e che rendeva problematico lo smaltimento, in Lombardia, di almeno 3000 tonnellate di fanghi di depurazione alla settimana che non potevano più essere smaltiti sui campi coltivati. Il Tar della Lombardia fece quindi un ottimo servizio per la salute dei cittadini abbassando il limite di legge delle sostanze tossiche rintracciabili nei fanghi, ma di lì a poco ci pensò il primo governo Conte a ribaltare le cose e rialzare il limite di legge per fare un favore a Regione Lombardia e alle imprese collegate al business della gestione dei fanghi. 

L’intervento del Governo Conte col “Decreto Genova”

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Non sorprende quindi che la problematica del trattamento e smaltimento dei fanghi prodotti dai processi di depurazione delle acque reflue urbane ha assunto in questi ultimi anni sempre più importanza, e che nel 2018 il Governo abbia inserito un nuovo nuovo parametro di riferimento nella normativa sullo spandimento dei fanghi in agricoltura nel cosiddetto “Decreto Genova” emanato per la situazione del crollo del ponte Morandi a Genova. Il Governo è intervenuto sulla questione con l’art. 41 del decreto che, “al fine di superare situazioni di criticità nella gestione dei fanghi da depurazione, aumenta a 1000 mg/kg (andando incontro quindi, in sostanza, fino allo stesso limite voluto dalla Regione Lombardia ed annullato dal Tar della Lombardia) il limite di 50 mg/kg per idrocarburi nei fanghi; cui si aggiunge un emendamento della maggioranza che amplia i limiti indicati dalla Cassazione anche per diossine, furani, PCB, toluene, selenio, berillio, cromo e arsenico (tutte sostanze molto tossiche tipicamente di origine industriale). 

In Italia si continua quindi ad autorizzare l’utilizzo dei fanghi come concime nelle coltivazioni, mentre la Svizzera li ha espressamente vietati [11] in agricoltura sin dal 2003, per il timore che questi concimi possano nuocere sia al suolo che alla salute umana.

Un business molto redditizio, ma controlli e sequestri aumentano

La legge italiana permette di destinare all’agricoltura non solo i fanghi generati dai processi di depurazione, ma anche quelli derivanti da alcune categorie di rifiuti industriali, persino chimici e farmaceutici. Proprio nel 2017 la Procura di Milano ha chiuso l’indagine su uno dei più grossi impianti di trattamento lombardi. Questo impianto operava del tutto fuori regola: non trattava i fanghi, alterava i documenti di trasporto e dei registri di ingresso e uscita, falsificava le analisi. Tonnellate di rifiuti tossici finite sui campi agricoli. Questo smaltimento di fanghi è un business molto redditizio, pensate che solo in provincia di Pavia sono presenti 9 impianti di trattamento dei fanghi. Si è creata un reciproca convenienza a usare i fanghi da parte di entrambi gli attori del sistema: gli agricoltori che accettano di ricevere i fanghi nei loro campi non devono comprare i fertilizzanti, e i depuratori fognari risparmiano nello smaltimento dei fanghi. Tutti tacciono sulle irregolarità, perché tutti ci guadagnano. I Carabinieri che hanno effettuato il sequestro dell’impianto irregolare in Lombardia hanno dichiarato che alcuni agricoltori lombardi hanno anche ricevuto mazzette di denaro per aver messo a disposizione i loro campi agricoli allo spandimento dei fanghi. Dalle risultanze dell’inchiesta è risultato che oltre 110 mila tonnellate di fanghi inquinati da idrocarburi e altre sostanze tossiche sono state sparse sui terreni agricoli.  

[di Gianpaolo Usai]