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Arie gitane

Amo molto un mercato zingaro in Portogallo, spero di tornarci presto, una spianata su più livelli divisa in zone: abbigliamento, contadini e prodotti alimentari, cucina all’aperto, piante, fiori e animali, attrezzi e coltelli, scarpe, orologi, profumi, anche roba usata.

Le voci, i richiami sono creativi, degni dei più approfonditi studi di pubblicità punto vendita. Sconti promessi da donne con accenti esplosivi, abiti urlati che l’ambulante dice che piacciono tanto a sua suocera, t-shirt e borse tarocche strepitose di Carden, Vendi, Odidas, e sopra nuvole affumicate di polli alla brace, latrati di cani che litigano e improvvisamente il silenzio animato poi da mille idiomi sussurrati, mentre figure da teatro o da circo ti attraversano la vista.

Una donna sola sotto un ombrellone prepara collane e bracciali per colorare il suo tempo incastrato maledettamente su una sedia a rotelle.

Ho commentato un tipo facendogli i complimenti perché la sua potente voce sembrava quella di Camarón de la Isla, il massimo cantante e musicista gitano. Lui mi ha detto che aveva conosciuto Camarón mentre chiedeva l’elemosina alla Feira da ladra a Lisbona, poi Camarón aveva messo su una baracchetta da musicanti, infine era diventato celebre, conteso da tutte e da tutti. Ma aveva ceduto alla droga e al fumo: morto a poco più di quarant’anni.

Una vita raccontata in due minuti con quel tono epico, un po’ distratto, tipico del mondo iberico, dove anche la morte risuona, nella mente e nelle parole, come un gesto potente, con tracce cangianti e sfumate.

Questa storia mi aveva fatto ricordare Aldo Pomini, lo scrittore, galeotto in Cayenne, compagno del celebre Papillon, condannati ambedue ai lavori forzati. Pomini aveva scritto anche lui un bel romanzo, analfabeta e fantasioso, dove mescolava in modo immaginifico italiano, francese, dialetti e spagnolo. Un libro autobiografico, uscito da Einaudi, e da me curato. Si intitolava Il ballo dei pescicani, qualche anno fa ripubblicato splendidamente da Giometti e Antonello con una mia prefazione e la recensione di allora, di Pier Paolo Pasolini.

È proprio vero. C’è l’analfabetismo di chi è andato poco a scuola, che ha un sapore artistico, paradossale, e c’è l’analfabetismo di chi crede di aver studiato, dimenticando che la vera cultura nasce dal saper vedere e dal saper ascoltare. E anche dal sapere incantare, come Camarón e come chiunque stia al mondo senza dimenticarselo.

[di Gian Paolo Caprettini – semiologo, critico televisivo, accademico]