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Perché la visita di Nancy Pelosi a Taiwan rischia di creare uno scontro tra USA e Cina

Tutto indica che la speaker della Camera dei rappresentanti statunitensi, Nancy Pelosi, si sia effettivamente messa in viaggio per Taipei, un avvenimento storico, considerando che le alte cariche di Washington non visitano Taiwan da almeno 25 anni. Una tale latitanza non era tuttavia priva di motivazione. La mossa della diplomatica sta infatti già creando un incidente politico con la Cina, la quale rivendica il controllo assoluto dell’isola e interpreta questa visita istituzionale come un affronto alla propria sovranità.

Tecnicamente, Pelosi non ha annunciato formalmente l’intenzione di raggiungere Taipei, ma il suo aeroplano si sta comunque muovendo in direzione dell’isola e le autorità locali si stanno preparando ad accoglierla. Washington rimarca nel frattempo che il suo piano di viaggio sia comunque da considerarsi sconnesso dalle responsabilità della Casa Bianca, visto che la Camera viene considerata negli Stati Uniti un organo indipendente dall’Amministrazione al potere. «Pelosi ha il diritto di andare a Taiwan», ha sintetizzato il portavoce del Consiglio per la Sicurezza Nazionale, John Kirby.

Beijing considera però la posizione USA al pari di un puro sofisma. «Una visita del genere è molto pericolosa, molto provocatoria», sostiene l’ambasciatore cinese delle Nazioni Unite, Zhang Jun, una posizione reiterata anche dalla portavoce del ministero degli Esteri Hua Chunying, la quale oltre a considerarla provocatoria la definisce addirittura «sconsiderata». Nel frattempo, il portavoce del Ministero degli Esteri cinese, Zhao Lijian, ha già avvisato che il corpo militare «prenderà contromisure decise e forti a difesa della sovranità e integrità territoriale». 

In tal senso, l’Amministrazione di sicurezza marittima di Shandong ha messo in guardia i marinai, avvisando che domani, 3 agosto, il porto di Weifang ospiterà esercitazioni militari per un lasso di tempo che spazierà dalle 15:00 alle 24:00. In pratica tutto il giorno. Stesso tipo di allarme viene promulgato dall’Amministrazione di sicurezza marittima di Qinglan, la quale notifica che le manovre proseguiranno fino a sabato. Taipei denuncia dunque che i jet militari dell’Esercito Popolare di Liberazione abbiano nelle scorse ore valicato in più occasioni la linea mediana che divide l’isola dal continente asiatico.

La Xiamen Airlines ha intanto annunciato che molti dei voli transitanti nella provincia cinese di Fujian siano stati cancellati per non meglio specificati motivi di “controllo del traffico”, tuttavia non si può fare a meno di notare che l’area di Fujian sia direttamente affaccia sullo stretto di Taiwan. Scatti diffusi su Weibo suggeriscono che proprio quella provincia sia al centro di un massiccio spostamento di mezzi pesanti verso le zone costiere. Carri armati, lanciarazzi multipli e vari sistemi di intercettazione si starebbero dunque allineando per guardare in direzione di Taipei.

Dal canto loro, anche gli Stati Uniti non contribuiscono a mantenere certamente toni pacati. Washington ha predisposto che, nell’ottica dell’arrivo di Pelosi, l’isola sia raggiunta da [1]quattro navi da guerra, una manovra che rientra ancora nei parametri di “normalità” nel perenne confronto tra potenze, ma che evidenzia anche come Washington sia ben consapevole delle pressioni diplomatiche a cui sta andando incontro.

«Se gli USA insistono a intraprendere questa strada, tutte le eventuali conseguenze saranno loro responsabilità», ha anticipato cautamente Hua. Sebbene sia infatti facile credere che nessuna delle parti coinvolte sia interessata a fare esplodere una guerra, bisogna anche riconoscere che la situazione stia diventando una polveriera e che un qualsiasi eventuale incidente possa trasformarsi in una fatale scintilla bellica. A destare particolari attenzioni è l’area contesa delle isole Kinmen, la cui conquista da parte cinese potrebbe rappresentare una concreta minaccia per il futuro di Taiwan.

[di Walter Ferri]