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Basilicata, 2000 braccianti in condizioni inumane: presentato ricorso alla CEDU

In Basilicata sono all’incirca 2 mila i braccianti che si trovano a lavorare in «condizioni inumane», sopratutto nella zona del metapontino e nel Vulture Melfese. A denunciarlo è Angela Bitonti, avvocato e presidente dell’Associazione diritti umani (ADU), la quale, insieme alla vicepresidente Sonia Sommacal, ha deciso di presentare ricorso alla Corte europea per i diritti umani (CEDU) per denunciare la condizione di abbandono istituzionale nella quale vertono i lavoratori.

I braccianti «Si stanziano in casolari abbandonati, specialmente nel ghetto di Boreano, dove ci sono i casolari della riforma agraria abbandonati: vivono senza luce, senza acqua, senza porte né finestre, senza arredi, con i materassi luridi appoggiati sui pavimenti, con fornelli e bombole del gas molto pericolose, qualche barile d’acqua che trasportano dalle fontane e soprattutto cumuli di spazzatura adiacenti ai casolari. Parliamo di tonnellate di rifiuti, vere e proprie discariche a cielo aperto, che insistono su territori comunali e che nessuno si preoccupa di smaltire, mettendo così a rischio la salute di queste persone, ma anche dei cittadini». Questa la denuncia fatta a Redattore Sociale [1] dall’avvocato Bitonti, dalla quale emerge, oltre che un problema di diritti, anche un’emergenza ambientale.

La responsabilità, dichiara l’avvocato, è in primo luogo politica, perché «la legge regionale 13/2016», inattuata sin dalla sua emanazione, prevede insieme ad altre normative «l’eliminazione dello sfruttamento e dei ghetti e dispone che ogni due anni il Consiglio regionale approvi un piano di programmazione», in assenza del quale ogni intervento, seppur minimo, rimane inefficace. Ad affiancare la responsabilità politica vi è quella giuridica, sancita dall’articolo 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo – ratificata dall’Italia – che prevede che nessuno sia sottoposto a condizioni disumane. «Finché esistono i ghetti esiste il caporalato. Perché dove non arriva lo Stato arrivano le mafie» sottolinea Bitonti.

La situazione non è propria solamente della Basilicata, ma dell’Italia intera, dove [2] almeno 10 mila lavoratori agricoli migranti vivono in insediamenti di natura simile, secondo quanto emerso da un rapporto del ministero del Lavoro e delle Politiche sociali. L’ADU ha predisposto un ricorso alla CEDU, affinché possa passare al vaglio la questione e pronunciarsi in merito, dopo che le istituzioni italiane hanno deciso di voltarsi dall’altra parte.

[di Valeria Casolaro]