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Inchiesta contro i sindacati di base: sono oltre un centinaio gli indagati

Sono oltre un centinaio i soggetti che risultano indagati nell’inchiesta della procura di Piacenza contro alcuni membri dei sindacati di base USB e SI Cobas, che ha portato il 19 luglio [1] all’arresto di sei soggetti tra i dirigenti delle due sigle. È ciò che emerge dalle quasi 350 pagine di ordinanza che racchiudono l’inchiesta della Digos, le quali ripercorrono gli anni di attività dei due sindacati e che riterrebbero aver individuato, nelle decine di attività di lotta sindacale, uno schema preciso di azione che lascerebbe presagire l’esistenza di due diverse associazioni a delinquere in seno ai due sindacati.

L’indagine, che non ha nel mirino [2] i sindacati ma solo “alcuni leader”, come specificato dal gip, non ha come scopo il “sottoporre a monitoraggio l’attività di salvaguardia dei diritti dei lavoratori”, ma quello di “cogliere gli elementi costitutivi di schemi delittuosi consolidati e reiterati”, al punto da permettere di individuare “una comune matrice, ovvero l’affermazione di un sistema di potere, mediante il frequente ricorso al compimento di attività delittuose”. Le singole proteste non vengono quindi lette ciascuna come episodio a sé, finalizzato ad ottenere vantaggi per i lavoratori, ma come “un più ampio fenomeno criminale, da identificarsi nella realizzazione degli scopi delle associazioni per delinquere“. Gli episodi contestati avvengono in un periodo di tempo che va dal 2016 al 2021 e riguardano picchetti e blocchi contro aziende quali GLS, Amazon, Nippon Express, SDA, Geordis, Leroy Merlin, TNT, Fercam, Dr Logistica, UPS, Step e Traconf. Oltre ai sei sindacalisti che già sono stati arrestati, sono oltre un centinaio gli indagati a piede libero a vario titolo per reati tra i quali figurano inosservanza dei provvedimenti dell’autorità, turbata libertà dell’industria, arbitraria invasione e occupazione di aziende industriali, interruzione di pubblico servizio, violenza privata, resistenza a pubblico ufficiale e sabotaggio.

Quella che apparerebbe come la normale, seppur radicale, attività sindacale diviene quindi il pretesto per tracciare il profilo di due diverse associazioni a delinquere all’interno delle due sigle – che hanno preso reciproca distanza in passato in diversi proclami pubblici e i cui modi di operare non sono assimilabili. Tuttavia, come sottolineato in un articolo apparso il 25 luglio su Il Fatto Quotidiano, all’interno dell’inchiesta vi sono degli importanti quanto curiosi omissis: nel descrivere l’occupazione del tetto di GLS da parte di 32 operai licenziati e coordinata da USB nel 2018, per esempio, viene omesso come tutti i lavoratori siano stati poi reintegrati perché il licenziamento fu ritenuto ingiusto. Allo stesso modo, nel descrivere l’arresto del coordinatore nazionale SI Cobas Aldo Milani, accusato di estorsione aggravata, viene spiegato come il sindacato avesse chiesto a tutti i tesserati 150 euro per far fronte alle spese legali, ma viene menzionato che Milani verrà assolto nel 2019.

Venerdì 22 luglio si sono svolti gli interrogatori [3] di garanzia dei sindacalisti arrestati afferenti a USB – Abe Issa Mohmoud El Moursi, Elderdah Fisal, Roberto Montanari e Zagdane Riadh, leader nazionale del sindacato -, contro i quali sono stati formulati 150 capi di imputazione. Tutti, di fronte al gip, si sono dichiarati estranei ai reati contestati, rivendicando la liceità delle proprie condotte in quanto proprie della legittima attività sindacale. Nel pomeriggio di sabato 23 luglio si è poi svolta una manifestazione [4] di protesta contro la criminalizzazione della lotta operaia a Piacenza, il cui striscione di apertura recitava “Le lotte operaie non si processano”. A prendere parte all’iniziativa, oltre a USB e Si Cobas, anche Rifondazione Comunista. Da parte dei sindacati confederati, invece, regna un silenzio di tomba.

[di Valeria Casolaro]