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Panama è sull’orlo della rivolta

Dopo che il governo ha cercato di correre ai ripari, mettendo in campo alcune misure atte a placare le proteste contro l’aumento del costo della vita, i cittadini hanno deciso di proseguire la loro contestazione continuando a scendere in strada. È quanto sta accadendo a Panama, dove ormai da più di due settimane proteste e blocchi stradali stanno creando non pochi problemi al Paese. L’ultima manifestazione [1] in ordine di tempo è stata quella di lunedì scorso, giorno in cui nella capitale, Panama City, i contestatori hanno bloccato le strade di accesso alla città tramite barricate di pneumatici in fiamme che hanno causato enormi rallentamenti del traffico. Non solo, perché sempre lunedì sono stati altresì attuati nuovi blocchi stradali sulla Pan-American Highway, la principale autostrada del Paese che collega Panama al resto del centro America, la quale già in precedenza era stata paralizzata.

Una mossa di notevole rilevanza, non solo poiché arrivata dopo diversi giorni di contestazione, ma anche poiché effettuata dopo che il governo aveva deciso di venire incontro alle ragioni dei manifestanti, che sostanzialmente chiedono di: abbassare il costo della vita (in particolare del carburante), aumentare i salari, gli investimenti pubblici nella sanità e nell’istruzione nonché di attuare politiche anticorruzione. Richieste che appunto il governo aveva cercato almeno parzialmente di accontentare. La settimana scorsa, infatti, l’esecutivo aveva annunciato la riduzione del prezzo del carburante, poi diminuito ulteriormente nella giornata di domenica, dopo un dialogo instaurato con alcune parti sociali. L’amministrazione del presidente Laurentino Cortizo ha così concordato di ridurre ulteriormente il prezzo della benzina da 3,95 dollari a 3,25 dollari al gallone, ossia ogni 3,8 litri.

Tuttavia i sindacati hanno ritenuto una presa in giro la mossa del governo, non solo poiché è stata imposta la mediazione della Chiesa cattolica, ma anche perché lo stesso ha dialogato solo con alcune delle organizzazioni sindacali che guidano la protesta. Il segretario generale del sindacato Suntracs Saul Mendez, ad esempio, ha chiesto che i negoziati includano tutti i gruppi che si stanno mobilitando. D’altro canto, poi, anche chi ha partecipato ai colloqui ha di fatto rinnegato l’accordo raggiunto. Luis Sanchez, leader del gruppo civico Anadepo, ha infatti successivamente affermato che l’accordo «è stato firmato sotto pressione» e che i membri del gruppo hanno in seguito deciso di continuare la protesta.

Il clima dunque continua ad essere teso nel Paese, con i manifestanti che non sembrano avere intenzione di fermarsi. Del resto, Panama deve affrontare attualmente condizioni economiche difficili, con un’inflazione del 4,2% registrata a maggio, un tasso di disoccupazione di circa il 10% ed i prezzi del carburante che sono aumentati di quasi il 50% dal mese di gennaio.

[di Raffaele De Luca]