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Draghi al Senato detta le condizioni per rimanere a capo del governo

Dopo la comunicazione delle dimissioni [1] e sei giorni di attesa, il presidente del Consiglio Mario Draghi ha chiesto al Senato un nuovo e ampio patto di fiducia «per restare ancora insieme». Gli impegni presenti e futuri richiedono «un governo forte e coeso e un Parlamento che lo accompagni», ha dichiarato durante le comunicazioni all’Aula, avventando stoccate non solo al Movimento 5 Stelle ma anche al centrodestra, attivo nello «sfarinamento della maggioranza» che nelle scorse settimane ha riguardato «la riforma del CSM, del catasto e delle concessioni balneari». La conferma della fiducia potrebbe arrivare, dopo cinque ore di discussione generale, in serata, con il Pd che spinge verso il rinnovo. Tuttavia, resta da capire quanto sarà ampia l’eventuale maggioranza, dal momento in cui il M5S ha accolto criticamente il discorso di Draghi e Lega e Forza Italia hanno annunciato la presentazione di una risoluzione in cui si chiede o un rimpasto di governo senza i pentastellati o il voto dei cittadini.

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La strada tracciata dal presidente del Consiglio nel discorso al Senato è chiara: raggiungere i 55 obiettivi del PNRR entro la fine dell’anno per ricevere la rata da 20 miliardi di euro dall’Unione europea. Ciò che, invece, appare superfluo è «il bisogno di sostegno a proteste contro il governo». Il riferimento non è soltanto ai dissidi interni alla maggioranza, concentrati in larga misura sul decreto Concorrenza – «che va approvato prima della pausa estiva» – ma anche a quelli popolari. Nel discorso, viene citata la protesta [3] di Piombino, dove nelle scorse settimane migliaia di cittadini hanno manifestato contro la decisione dell’esecutivo di costruire un rigassificatore: un’opera inquinante e a forte impatto negativo sul turismo per i manifestanti e un elemento fondamentale nella strategia che porterà all’abbandono delle importazioni di gas russo entro un anno e mezzo secondo Draghi. Spazio poi al reddito di cittadinanza, descritto come «una misura importante per ridurre la povertà che può essere migliorata per favorire chi ha più bisogno e ridurre gli effetti negativi sul mercato del lavoro». Un improbabile segnale di apertura verso il M5S, che ha infatti accolto in modo critico il discorso di Draghi ma si ritrova a riflettere sul voto, con lo spettro di una nuova spaccatura guidata dal capogruppo Davide Crippa che, insieme a Maurizio Cattoi e Nicola Provenza, rappresenta il fronte governista.

Con il discorso al Senato – una sorta di manifesto delle azioni intraprese e degli obiettivi da raggiungere dall’esecutivo – Mario Draghi ha formalizzato la sua evoluzione da uomo tecnico a politico, raggiungendo un risultato impensabile per i suoi predecessori: la legittimazione di fronte agli occhi dei cittadini che i governi tecnici faticano, per natura, a ottenere. Prima attaccato dalla forza politica che aveva ottenuto più voti a inizio Legislatura, poi rivoluto da una parte di essa e non solo: «La mobilitazione di questi giorni è senza precedenti e impossibile da ignorare. Mi hanno colpito in particolare l’appello di circa 2000 sindaci e quello del personale sanitario», ha dichiarato Draghi, dimenticando la raccolta firme [4] lanciata da Il Sole 24 ORE e accolta da CEO, imprenditori e banchieri: insomma, l’élite finanziaria italiana. A questa, si sono aggiunti poi gli appelli internazionali provenienti da Stati Uniti, Ucraina, Germania, Francia e altri paesi europei a restare alla guida dell’esecutivo e continuare a essere un “pilastro” nella crisi geopolitica attuale. Non una mobilitazione popolare, ma istituzionale, comunque sufficiente per il presidente del Consiglio a rivedere le proprie dimissioni e a chiedere ai partiti l’ennesimo sforzo per la nazione, dopo quello compiuto nei primi mesi dell’esecutivo e poi affievolito: «Voi siete pronti a ricostruire questo patto di fiducia? Questa risposta dovete darla agli italiani, non a me».

[di Salvatore Toscano]