- L'INDIPENDENTE - https://www.lindipendente.online -

Biden in Arabia Saudita, resoconto di un flop che racconta nuovi equilibri globali

Venerdì scorso, il presidente amercano Joe Biden è volato a Gedda in Arabia Saudita, con lo scopo di riavvicinare all’amministrazione USA il più importante partner strategico di Washington in Medio Oriente dopo Israele: da tempo, infatti, Riad ha preso le distanze dalle linee statunitensi a causa di questioni diplomatiche e geopolitiche, rinsaldando sempre di più, invece, i legami economici con Mosca, considerata la principale “minaccia” dalla Casa Bianca. In particolare, il viaggio di Biden era finalizzato a trovare un accordo sull’aumento della produzione di petrolio da parte di Riad, ma anche a normalizzare i rapporti tra Stati arabi e Israele – sfruttando gli Accordi di Abramo promossi dal predecessore Trump – in modo da creare una sorta di “NATO araba” in funzione anti-iraniana. E, infatti, il dossier sul nucleare iraniano [1] è stato anche al centro della visita del presidente americano in Israele.

Tuttavia, non solo la missione di Biden non ha ottenuto i risultati sperati, ma ha anche suscitato una sorta di imbarazzo diplomatico, scatenando polemiche e risentimenti a livello internazionale: dopo aver definito Riad uno «Stato paria» in campagna elettorale, per via dell’uccisione – attribuita al principe ereditario Mohammed bin Salman – del giornalista del Washington Post, Jamal Khashoggi, Biden è stato costretto da circostanze economiche e geostrategiche a recarsi in Arabia Saudita per “supplicare” i reali e lo stesso principe ad aumentare la produzione di petrolio.

La questione dell’aumento della produzione dell’oro nero, del resto, è di fondamentale importanza per Biden, il quale è in caduta libera nei sondaggi elettorali a causa dell’aumento del prezzo dei beni energetici: aumentare la produzione di greggio significherebbe far rientrare l’inflazione ponendo rimedio all’annosa questione che rischia di far perdere al Presidente le elezioni di medio termine previste per il prossimo novembre. Anche in questo caso, però, la richiesta dell’amministrazione americana non è stata accolta dell’(ex) alleato saudita: Riad, infatti, non ha assunto alcun impegno in merito, limitandosi a rimandare l’argomento alla prossima riunione dell’OPEC Plus – l’associazione dei principali produttori di petrolio comprendente anche la Russia – prevista per il prossimo tre agosto. In particolare, il ministro degli Esteri dell’Arabia Saudita, Adel al-Jubayr, ha dichiarato [2] che non è stato raggiunto alcun accordo sul petrolio e che i paesi OPEC prenderanno una decisione basata sul mercato, non sull’«isteria» o sulla «politica». Nel frattempo, i prezzi del petrolio sono aumentati, dopo che un funzionario statunitense ha riferito [3] all’agenzia Reuters che non si prevede un aumento di produzione di petrolio nel breve termine da parte dell’Arabia Saudita.

Da notare anche come, allo stesso tempo, Riad abbia intensificato gli scambi commerciali con Mosca aumentando considerevolmente le importazioni di petrolio russo: queste, infatti, sono più che raddoppiate, passando dalle 320.000 tonnellate del periodo aprile-giugno 2021 alle 647.000 dello stesso periodo nel 2022. Un segnale significativo di come stanno cambiando le relazioni commerciali, diplomatiche e politiche a livello internazionale. Cosa che naturalmente ha spinto Washington a prendere contromisure.

Ma se, da un lato, il tentativo di ottenere maggiore petrolio non è andato a buon fine, dall’altro anche quello di compattare i Paesi arabi contro l’Iran, in una sorta di NATO regionale, non ha registrato particolari successi: un primo segnale negativo al riguardo, infatti, è arrivato dagli Emirati Arabi Uniti, i quali hanno fatto sapere [4] di voler riallacciare i rapporti con Teheran e di non essere interessati, di conseguenza, a partecipare ad un’alleanza contro altri Paesi mediorientali. La stessa posizione è stata espressa dall’Iraq che non ha intenzione di partecipare ad un’alleanza militare ostile nei confronti del suo vicino e partner nella regione.

Infine, per quanto riguarda la normalizzazione dei rapporti tra Paesi arabi e Israele, Riad ha affermato che tale normalizzazione potrà avvenire solo a determinate condizioni: «Abbiamo chiarito che abbiamo bisogno di un processo e che questo processo deve includere l’attuazione dell’Iniziativa di pace araba. Una volta raggiunto questo obiettivo, ci impegniamo per un accordo a due Stati con lo Stato palestinese nei territori occupati e la sua capitale, Gerusalemme est. Questa è la nostra richiesta di pace» ha precisato al-Jubayr. Anche qui, dunque, la strada risulta ancora in salita e nient’affatto scontata, sebbene ci siano state alcune distensioni tra i due Paesi, con Riad che ha aperto il suo spazio aereo ai voli da e per lo Stato ebraico e il Premier israeliano Yair Lapid che sembra abbia dato il suo benestare alla restituzione ai sauditi delle isole contese di Sanafir e Tiran nel Mar Rosso.

Il quadro generale mostra come il Medioriente si stia sganciando sempre di più dall’orbita statunitense e come, altresì, sia difficile ricondurlo nuovamente sotto l’ala di Washington: gli equilibri internazionali, infatti, risultano notevolmente e rapidamente mutati, sia in seguito alla crisi ucraina, sia a causa di errori politici e diplomatici dei governi americani. Contemporaneamente, nazioni come Russia e Cina acquisiscono un peso geopolitico ed economico sempre maggiore, attirando verso di sé i cosiddetti Paesi non occidentali. Quest’ultimi stanno prendendo coscienza delle enormi potenzialità dell’asse orientale e sarà difficile, dunque, che rinuncino facilmente alla loro indipendenza politica e geostrategica in favore dell’ormai declinante egemonia a stelle e strisce.

[di Giorgia Audiello]