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Quando gli influencer parlano a caso fanno danni

Chiara Ferragni, la influencer/imprenditrice con un bacino di 27 milioni e mezzo di follower, ha affidato alle storie di Instagram la propria preoccupazione per quella che  a suo dire è la situazione “fuori controllo” della criminalità nella città di Milano. In un accorato appello lanciato al sindaco Sala, la Ferragni si dice “angosciata e amareggiata dalla violenza che continua ad esserci a Milano” e ha chiesto al sindaco di porvi rimedio al più presto, perché “per noi e i nostri figli abbiamo bisogno di fare qualcosa”. Alla replica [1] del primo cittadino di Milano – «non rispondo. Non condivido quello che dice, è un’opinione» – l’influencer fa un piccolo passo indietro e riconosce di parlare da cittadina “privilegiata”. E qui le storture iniziano a farsi nitide.

Iniziamo col dire che affermazioni di questo tipo provenienti da un personaggio di spicco con un tale bacino di utenza, in un mondo dove di fatto siamo tutti utenti costantemente rimpinzati di contenuti e iconografiche realizzate ad hoc che influenzano la nostra percezione e il dibattito, non rimangono certo prive di conseguenze. Ciò è ancor più vero in un caso come quello di Chiara Ferragni, la quale spesso e volentieri utilizza le proprie piattaforme per pubblicare contenuti correlati a battaglie sociali. Ma se gli influencer sono liberi di esprimere le proprie opinioni come meglio ritengono attraverso i propri canali, è compito degli utenti mantenere vigile la coscienza critica e filtrare i contenuti dai quali sono costantemente bombardati.

Volendo affrontare il discorso a partire dalla base più concreta e incontrovertibile, ovvero i dati, i numeri del Viminale [2] parlano di una netta diminuzione del numero di reati nella Città Metropolitana e nel Comune di Milano. Se è vero, da un lato, che nel 2020 la pandemia ha costretto la pressoché totalità della popolazione a casa, costituendo così la principale concausa della diminuzione dei crimini commessi, è anche vero che i numeri relativi ai reati compiuti nel 2021 sono per lo più nettamente inferiori a quelli del 2019. Cala il numero degli omicidi, dei furti, delle rapine in banca e “in pubblica via”, diminuiscono i furti in abitazione e di autovetture e persino i reati correlati allo spaccio di stupefacenti.

Tuttavia, la narrazione del disagio sociale e della criminalità passa ogni giorno di più attraverso i social, tramite la pubblicazione di immagini che fotografano situazioni di disagio o degrado e che, inevitabilmente, generano [3] sensazioni di ansia nell’utente. Così a prendere piede è la narrativa securitaria, ovvero il discorso secondo il quale l’unica risposta al disagio sociale, alla criminalità e al degrado urbano è il controllo poliziesco e la repressione. Si tratta tuttavia di una maniera di affrontare la tematica estremamente semplicistica e superficiale, che fornisce, per l’appunto, “fotogrammi” dei fatti e non permette di comprendere a fondo i fenomeni e nemmeno di risolverli.

Il mondo post pandemico ha aperto a una realtà di polarizzazione sempre maggiore della ricchezza e della distanza tra i “cittadini privilegiati”, come la stessa Ferragni si definisce, e le persone che vivono sotto la soglia di povertà. Secondo gli ultimi [4] dati Istat, dal 2005 al 2021 è triplicato il numero di persone che vivono in condizioni di povertà assoluta. Non solo: il numero di famiglie povere è raddoppiato, passando da 800 mila a 1,96 milioni. La precarizzazione del sistema del welfare va di pari passo con quella del lavoro, alla quale lo Stato pone rimedio proponendo misure di assistenzialismo – il ricorso alle quali diventa sempre più causa di stigma sociale. Problematiche di questo tipo richiederebbero interventi strutturali, un ripensamento intero dell’ossatura della società, piuttosto che essere affrontate nei semplicistici termini del “tema sicurezza”, per usare le parole di Ferragni.

Questo modo di affrontare la questione porta al prodursi di situazioni paradossali al limite del ridicolo, quali lo sgombero [5] coatto dei senzatetto a Milano da parte della polizia nel dicembre dello scorso anno. «Bivaccare sotto i tunnel non è umano né decoroso» aveva dichiarato l’assessore alla Sicurezza Granelli per giustificare l’operazione di polizia. Allo stesso modo, come spiegato [6] dal sociologo Franco Prina in un’intervista rilasciata a L’Indipendente, trattare il fenomeno dei gruppi delinquenziali minorili (le cosiddette “baby gang”) come semplice spunto di cronaca da reprimere tramite un maggior controllo poliziesco distoglie l’attenzione dal complesso insieme di carenza di sistemi di assistenza, incapacità del sistema scolastico di far fronte al disagio minorile, impreparazione dei genitori e delle figure educative, scarsità di personale professionalmente preparato a far fronte al fenomeno ed emarginazione sociale di determinati gruppi che vi è alle spalle. E si tratta solo di un paio di esempi.

Insomma, portare all’attenzione queste tematiche è lecito, ed è lecito richiedere interventi per porvi rimedio. Tuttavia, abbandonare l’ossessione securitaria in favore di interventi più integrati e strutturali potrebbe offrire soluzioni nuove e funzionali. Nel trattare tematiche delicate e di tale rilievo, inoltre, personaggi pubblici con il ruolo e il peso mediatico di Chiara Ferragni dovrebbero fare ben attenzione a soppesare le parole, proprio in ragione del loro ruolo determinante nell’influenzare l’opinione pubblica e dell’ampio bacino d’utenza che possono raggiungere.

[di Valeria Casolaro]