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Un nuovo attentato a Mogadiscio infittisce il mistero sulla morte di Ilaria Alpi

È stato assassinato a Mogadiscio Hashi Omar Hassan, il somalo che nel 1998 fu incriminato per la morte della giornalista Ilaria Alpi e del suo operatore Miran Hrovatin avvenuta nella città di Mogadiscio, in Somalia. Hassan era stato indicato come autore dell’omicidio dal testimone chiave Ahmed Ali Rage e da Ali Abdi, autista di Alpi e Hrovatin, e per questo condannato a 26 anni di carcere. Di questi, ne aveva scontati oltre 16, dei quali 10 in isolamento diurno, ma nel 2015 Ahmed Ali Rage aveva confessato di aver fatto il suo nome in cambio di denaro. Risarcito dallo Stato italiano per l’ingiusta incarcerazione con 3 milioni e 181 mila euro, Hassan era rientrato in Somalia, dove voleva reinvestire la cifra nel settore dell’import-export. Ad ucciderlo è stata una bomba piazzata sotto il sedile della sua auto, ma ancora nessuna milizia ha rivendicato l’attentato. Secondo uno dei due legali [1] di Hassan, Antonio Moriconi, l’uomo, consapevole dei rischi che avrebbe comportato un suo rientro in Somalia, è stato ucciso in seguito a un tentativo di estorsione da parte di gruppi terroristici.

È il 20 marzo 1994 quando Ilaria Alpi e il suo operatore Miran Hrovatin vengono uccisi a Mogadiscio, in Somalia. I due si trovavano nel Paese per seguire [2] la missione di pace Restore Hope, coordinata dall’ONU, la quale avrebbe dovuto contribuire a porre fine alla guerra civile scoppiata nel 1991 dopo la caduta di Siad Barre. Mentre acquisivano elementi per il loro reportage sulla grave emergenza umanitaria nel Paese, Alpi e Hrovatin avevano cominciato a indagare su di un presunto traffico di armi e rifiuti tossici, che si svolgeva con probabile complicità dei servizi segreti italiani e altre istituzioni italiane, secondo un processo per il quale i Paesi industrializzati dislocavano i rifiuti nei Paesi africani in cambio della cessione di armi e tangenti a gruppi politici locali. Il giorno del loro omicidio Alpi e Hrovatin due erano appena rientrati dalla città di Bosaso, ritenuta estremamente pericolosa perché il porto costituiva uno snodo fondamentale nel passaggio del traffico di armi. Si riteneva che queste giungessero [3] infatti in Somalia a bordo delle navi dell’azienda Shifco, società italiana amministrata da un somalo con passaporto italiano di nome Mugne.

A Bosaso, Alpi e Hrovatin avevano incontrato Abdullah Moussa Bogor, il sultano della zona: nel corso dell’ intervista – andata in gran parte misteriosamente perduta, ma della quale si può visualizzare qualche stralcio [4] – Alpi interroga Bogor proprio a proposito del sequestro da parte dei gruppi armati di Bosaso di una nave di proprietà di Shifco, la Faarax Omar, con il pretesto del mancato rispetto delle normative sulla pesca. Evidentemente la giornalista si stava muovendo nella direzione giusta, avvicinandosi pericolosamente a scoperchiare il vaso di Pandora: al suo rientro a Mogadiscio, infatti, la macchina sulla quale viaggiava insieme a Hrovatin verrà fermata da un commando armato e i due verranno uccisi a colpi di arma da fuoco.

Sarà proprio Ali Abdi, l’autista dei due giornalisti, insieme al testimone chiave Ahmed Ali Rage, a individuare in Omar Hashi Hassan uno dei complici dell’omicidio, riconoscendolo come l’autista della Land Rover del commando. Per questo motivo nel 1998 [5] la Procura di Roma chiede il rinvio a giudizio di Hassan, che viene assolto il 20 luglio 1999 perché i testimoni vengono considerati non attendibili, ma nuovamente condannato dalla Corte d’Appello il 24 ottobre 2000. Hassan sarà definitivamente assolto nel 2016: a far crollare le accuse contro di lui la confessione di Ahmed Ali Rage, che dichiarerà di essere stato pagato per accusarlo.

A 28 anni dai fatti, l’omicidio di Hassan aggiunge un ulteriore tassello alla vicenda mai risolta dell’omicidio di Ilaria Alpi e di Miran Hrovatin. Il percorso [6] giudiziario incredibilmente dilatato e disseminato di ostacoli, depistaggi, documenti spariti e insistenti richieste di archiviazione non è ancora stato in grado di far luce su quanto accaduto, sugli esecutori materiali degli omicidi e sulle motivazioni che celano. Elementi quali intercettazioni di soggetti somali che dichiarano che la Alpi è stata “uccisa dagli italiani” hanno tardato anni a giungere sulle scrivanie dei pubblici ministeri, che le hanno poi ritenute irrilevanti ai fini del processo. Nel 2019, il gip Andrea Fanelli ha respinto due richieste di archiviazione della Procura di Roma, sottolineando come la vicenda fosse segnata “da tanti lati oscuri e financo errori giudiziari”. Errori sui quali, ad oggi, non è ancora stata fatta luce.

[di Valeria Casolaro]