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La Rai ha misteriosamente trasferito il corrispondente da Mosca Marc Innaro

Dopo ben 16 anni, prima dal 1993 al 2001 e poi dal 2014 ad oggi, Marc Innaro non sarà più corrispondente per la Rai da Mosca. Si conclude così l’avventura russa del giornalista dapprima additato a “filo-putiniano” e poi addirittura inserito nella lista di “propagandisti russi” [1] presentata alla Camera da esponenti del Partito Democratico e di +Europa. L’amministratore delegato di viale Mazzini, Carlo Fuortes, ha deciso di spostare il giornalista al Cairo, in Egitto, dove sostituirà il collega Giuseppe Bonavolontà, prossimo alla pensione. Una decisione giunta senza esplicite motivazioni: Innaro vi aveva già lavorato dal 2004, seguendo per l’Italia le cosiddette “primavere arabe” e la fine del regime di Gheddafi, tuttavia è difficile non pensare che quella della Rai non sia una “sentenza” e che non c’entri la politica.

Da quando è iniziato il conflitto in Ucraina la politica, in particolare il Partito Democratico, si è sempre dimostrata intollerante alle corrispondenze di Innaro: sin dalla prima “problematica” di fine febbraio, dove il giornalista, in diretta presso il Tg2, osò ricordare che l’unica ad essersi espansa dopo il crollo dell’URSS era la Nato. Nemmeno il tempo di capire e contestualizzare la sua frase che già i dem lanciarono una interrogazione in Commissione di Vigilanza Rai [2]. Proprio Andrea Romano non si fece scrupolo a dichiarare [3] che quelli del giornalista erano «resoconti confezionati dal Cremlino» e che occorreva prendere provvedimenti: «Gli ambasciatori vengono fatti ruotare, non rimangono 15 anni nella stessa sede proprio per evitare un eccesso di identificazione col Paese nel quale vivono. Mi domando se non sia il caso di fare lo stesso con i corrispondenti Rai». Ma anche il resto della politica non si è dimostrato da meno. Solo per citare un esempio, il senatore con doppia tessera Lega-Fi Francesco Giro aveva dichiarato [4]: «Basta con Marc Innaro, il corrispondente filorusso della Rai da Mosca. Basta! Fermatelo!».

Ma qual è esattamente la colpa di Innaro? Ad un’analisi obiettiva non si può dire sia quella di essersi fatto megafono della cosiddetta propaganda russa, critica che sui media dominanti viene mossa un po’ contro chiunque, parlando di Ucraina, esprima un pensiero critico sulla condotta del Governo Draghi o dell’Occidente in generale. Paradossalmente l’unica colpa imputabile ad Innaro pare essere quella di aver rispettato i principi del mestiere giornalistico, a costo di smontare attraverso dati e dichiarazioni alcune argomentazioni che trovava scorrette. E questo evidentemente non andava bene. Ne ricordiamo alcune.

La teoria della “guerra lampo”: in diretta a Cartabianca Innaro disconfermò quella narrazione tutta costruita che la Russia avesse intenzione di condurre “una guerra lampo”, così come quella, ancora più infondata, secondo cui “il piano” fosse quello di terminare il conflitto entro il famoso 9 maggio, giorno di celebrazione della vittoria della Russia sulla Germania nazista. «Qui – disse Innaro – non li ho mai sentiti dire (i russi) che in Ucraina sarebbe stata una guerra lampo. E francamente non ho nemmeno mai sentito parlare della data del 9 maggio come una sorta di data entro la quale risolvere il conflitto. Questi (i russi) sapevano benissimo che non sarebbe stato facile».

La “Russia isolata nel mondo” è un’altra delle narrazioni ripetute ad nauseam. Interpellato dall’Adnkronos [5] Marc Innaro fece banalmente notare che la chiusura di grandi aziende occidentali, come Coca Cola, Starbucks, o anche Facebook, non sia così impattante per la Russia. Soprattutto che la somma della popolazione dei paesi considerati non ostili fa qualcosa come 4 miliardi di persone: «Stiamo parlando di più del 60% del pianeta – aveva detto detto il giornalista – a voi le conclusioni».

Un episodio importante è quello riguardo il presunto attacco russo alla centrale nucleare di Zaporizhzhia. I primi di marzo circolò la “notizia” che i russi avessero attaccato questa centrale nucleare. I giornali [6], senza alcuna verifica, se ne uscirono subito con titoloni, riportando anche le dichiarazioni forti di Mario Draghi, che aveva parlato di «scellerato attacco». In diretta dal Tg2 [7] Innaro notò che in realtà la centrale non era stata presa di mira dai russi nelle ore precedenti, come raccontato da molti giornali: era invece sotto il controllo delle forze speciali russe già da 5 giorni. Rispetto a ciò che si diceva in Occidente poi, le autorità russe sostenevano che il livello di radioattività fosse nella norma. Non c’era quindi nessun pericolo di catastrofe, come invece si narrava. «La notte scorsa, continuano a dire qui, un gruppo di sabotatori ucraini ha attaccato il centro di addestramento del personale tecnico che è a fianco della centrale, ma l’attacco, dicono, è stato respinto».

Da notare il comportamento che ebbe un quotidiano come la Repubblica [3]. Secondo il giornale Innaro ci era “cascato un’altra volta”. Il corrispondente dalla Russia, chiamato a intervenire proprio in quanto tale, aveva “stranamente” riportato solo fonti russe nello spazio di intervento riservatogli, e per giunta nemmeno le aveva messe in discussione. “Come se la propaganda del Cremlino – scrisse il giornale – fosse un fatto acclarato e non il frutto avvelenato di una campagna di disinformazione in corso ormai da mesi”. Come se, riprendendo le parole di Repubblica, il mestiere del giornalista fosse quello di riportare solo le fonti della parte “buona”, e non di prendere tutte le fonti disponibili e verificarle – quando possibile – o quantomeno metterle a confronto.

Ciò che in questi mesi Marc Innaro ha fatto, proprio in virtù di corrispondente, è stato condividere quello che, come più di una volta ha detto lui stesso, «si dice qua»: in Russia. Perché tra i compiti del corrispondente, farà strano, vi è anche quello di trasmettere in patria la versione dei fatti del Paese nel quale è inviato. Questo serve non per propaganda, ma per permettere ai lettori di avere maggiori elementi per farsi un’idea, e non solo quelli che provengono da una parte. Un corrispondente non divulga la posizione politica del Paese che lo ha inviato, è un lavoro che si può fare comodamente da casa, risparmiando denaro pubblico. Non può dirsi davvero libera, obiettiva e pluralista quell’informazione che considera sempre e a priori falso ciò che arriva da una certa fonte, senza la minima verifica. Men che meno se punisce un professionista che lavora per fornire un’informazione più completa.

[di Andrea Giustini]