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In 20 anni le multinazionali hanno conquistato terreni grandi tre volte l’Italia

Magnati, multinazionali e potenti nel mondo si sono appropriati di immensi territori a discapito delle popolazioni, calpestando diritti umani e stravolgendo interi ecosistemi. Negli ultimi venti anni il cosiddetto land grabbing  [1](accaparramento di terra), fenomeno economico e geopolitico diffusasi dal XXI secolo e che riguarda l’acquisizione di terreni agricoli su scala globale, è cresciuto a dismisura. Ben 91,7 milioni di ettari di terre (pari a 917.000 chilometri quadrati) in diverse parti del mondo sono finite nelle grinfie dei padroni della Terra solo negli ultimi vent’anni. Una superficie pari a circa tre volte quella italiana e che potrebbe espandersi ancora di più a seguito della recente guerra. Sono alcuni dei dati contenuti nel V° Rapporto [2] I padroni della Terra, redatto da FOCSIV, denunciando le conseguenze dannose di una rischiosa tendenza che invece di rallentare, sembra sia in crescita.

I dati provengono da Land Matrix, sito che raccoglie informazioni sui contratti di cessione e affitto di grandi estensioni di terra. Dall’analisi della banca dati è stato possibile capire in quali parti del mondo si concentri maggiormente il fenomeno preso in analisi: il Paese più coinvolto risulta essere il Perù [3] con ben 16 milioni di ettari di Terre concesse a diverse aziende e società, a seguire il Brasile, l’Argentina, l’Indonesia e la Papua Nuova Guinea. Prendendo invece in considerazione il continente europeo, in prima posizione per territorio accaparrato si trova l’Ucraina, mentre nel continente africano la classifica parte dal Sud Sudan e a seguire si trovano il Mozambico, la Liberia e il Madagascar. I grandi investitori troppo spesso indisturbati, sembra abbiano anche approfittato della digitalizzazione, con l’avvento di registri e certificazioni digitali volte a semplificare alcune operazioni di accaparramento, nonché ottimo modo per lasciare nel dimenticatoio i diritti alla terra e di intere comunità.

Uno dei punti più tristi che la FOCSIV mette in risalto è relativo alla crescente deforestazione per lo sfruttamento delle risorse naturali, con 11,1 milioni di ettari di foreste tropicali perse lo scorso anno. Le grandi piantagioni monocolturali si espandono, cancellando i polmoni della Terra con danni agli ecosistemi, perdita di biodiversità e soprusi alle popolazioni native e contadine. Comunità che soprattutto negli ultimi anni hanno ottenuto visibilità [4], dopo proteste e battaglie spesso anche sanguinose [5], ma che sembrano ancora lontane dall’essere davvero ascoltate, quando invece non solo si otterrebbe giustizia umana ma anche quel che oggi è necessario considerare come primo obiettivo mondiale per combattere contro l’imponente crisi climatica: un maggiore rispetto ambientale.

Se il cambiamento sembra partire proprio dalle lotte dei popoli nativi [6], il rapporto sottolinea come importanti modifiche dovrebbero essere adottate nella finanza e soprattutto da parte delle banche pubbliche di sviluppo come la Cassa Depositi e Prestiti, le quali dovrebbero “Dotarsi di meccanismi efficaci e trasparenti di valutazione ex ante, di controllo e di accesso alla giustizia, sostenendo le richieste delle comunità locali”. Sarebbe bene seguire le leggi già esistenti e sceglierne delle altre che regolino al meglio le linee guida per i regimi fondiari, dando più importanza e potere a chi ne è fautore come il Comitato Mondiale per la Sicurezza Alimentare. Ciò che serve è una vera e propria ristrutturazione del sistema alimentare internazionale per limitare quel che ora è dimostrato essere causa di ingiustizie su più fronti. Non solo, ma cambiare le cose ora è essenziale anche per la questione della guerra in Ucraina, Paese che già vede il 55% del proprio terreno come coltivabile (percentuale più alta in Europa). Purtroppo sono proprio momenti di crisi mondiale di questo tipo ad incentivare determinati eventi e la guerra nell’Est Europa ne è chiaro esempio, visto come si alimenti “La competizione degli attori sovrani e di mercato più potenti” , pronti a fare affari con le élite locali “Appropriandosi di terre fertili e di risorse minerarie per il proprio tornaconto a discapito dei popoli che da secoli vi vivono”.

[di Francesca Naima]