- L'INDIPENDENTE - https://www.lindipendente.online -

La Libia sta sprofondando nuovamente nel caos

La Libia è attraversata nuovamente da violente proteste di piazza, scontri, disordini e manifestazioni in tutto il Paese da venerdì scorso, quando una folla di manifestanti ha preso d’assalto la sede del Parlamento a Tobruk, nella Cirenaica, a est del Paese. Lo stallo politico, la drammatica situazione economica con l’impennata dei prezzi dei generi alimentari e i continui blackout energetici hanno scatenato l’ira dei cittadini che si sono riversati in piazza, chiedendo un miglioramento delle condizioni di vita e nuove elezioni politiche, al grido di «Vogliamo la luce», «Libia, Libia» e «No, no ai battaglioni», riferito alla polizia che attaccava i manifestanti. Secondo fonti locali e vari video che circolano su Twitter, i dimostranti hanno fatto irruzione nella Camera dei rappresentanti – chiusa in quanto venerdì è giorno festivo – portando via tutto ciò che potevano, mentre una parte dell’edificio è stata data alle fiamme insieme alle auto delle forze dell’ordine. Le proteste [1] hanno coinvolto tutto il Paese da est a ovest con reazioni violente che non si verificavano dal 2019 nelle principali città, tra cui anche Tripoli, Bengasi e Misurata.

In particolare, la situazione è precipitata lo scorso aprile quando, a causa delle diverse fazioni che avvelenano la Libia e che si contendono il Paese e le istallazioni petrolifere, sono stati bloccati diversi terminal di giacimenti petroliferi per le esportazioni, creando ingenti danni economici alla National Oil Corporation, la compagnia energetica libica. Quest’ultima ad oggi ha perso circa 3,5 miliardi di dollari, ma soprattutto, il calo della produzione di gas ha avuto come conseguenza la continua interruzione di elettricità nel Paese che dura fino a 12 ore al giorno. A ciò si aggiunge il problema dello stallo politico, dovuto all’incapacità, o al disinteresse, del cosiddetto Governo di unità nazionale di indire nuove elezioni, previste inizialmente nel dicembre 2021 e richieste ora a gran voce dalla popolazione.

A causa di divisioni interne sulle regole e le modalità delle elezioni – nonché delle polemiche sui nomi di alcuni candidati alla presidenza, tra cui il figlio di Gheddafi, Saif al-Islam Gheddafi – queste ultime sono state posticipate a data da destinarsi. Con Abdel Amid Dbeibah, nominato premier ad interim con l’approvazione delle Nazioni Unite, che ha rifiutato di farsi da parte. Ora proprio quest’ultimo, a causa delle reazioni violente dei cittadini, ha invocato con urgenza nuove elezioni, chiedendo a tutti gli organi politici di dimettersi: «Aggiungo la mia voce ai manifestanti in tutto il Paese: tutti gli organi politici devono dimettersi, compreso il governo, e non c’è modo per farlo se non attraverso le elezioni» ha affermato [2] ieri. Pare, dunque, che le proteste popolari abbiano avuto più successo della mediazione dell’ONU: lo scorso giovedì, infatti, erano falliti i negoziati, sotto l’egida ONU, tra il presidente della Camera, Aquila Saleh, e il rivale, Khaled al Meshri, capo dell’Alto Consiglio di Stato (vicino al governo di Tripoli), per concordare un quadro costituzionale che consentisse lo svolgimento delle elezioni.

Tutto ciò non lascia di certo sorpresi: disordini e instabilità politica e socioeconomica, infatti, caratterizzano ormai la nazione dal 2011, anno in cui Francia, Stati Uniti e Gran Bretagna – Paesi NATO – hanno attaccato militarmente la Libia, uccidendo il colonnello Mu’ammar Gheddafi per garantire – ufficialmente – pace e democrazia, nel contesto delle Primavere arabe. Quello che si è ottenuto, invece, è sotto gli occhi di tutti: la frammentazione del Paese in una miriade di fazioni avverse l’una all’altra che hanno provocato continui scontri, corruzione e guerra civile, con l’avvicendarsi di diversi esecutivi incapaci di governare e unire il Paese, fino alla nascita nel 2014 di due governi rivali: uno con sede a Tripoli a ovest del Paese, riconosciuto dalla “comunità internazionale” e dall’ONU e guidato dal 2021 da Abdel Amid Dbeibah; l’altro con sede a Tobruk nella Cirenaica, con a capo Fathi Bashagha e sostenuto dal generale Haftar.

La situazione così delineata ha comportato enormi scompensi per la popolazione e ha visto anche aumentare esponenzialmente i fenomeni migratori a causa delle peggiorate condizioni economiche del Paese. Con Gheddafi, invece, la questione risultava ampiamente contenuta, in quanto – a dispetto di quanto diffuso dai media e dai leader occidentali – il colonnello aveva garantito un periodo di stabilità e relativa prosperità alla Libia e al nord Africa. Non stupisce quindi che tra i dimostranti, molte persone sventolassero le bandiere verdi dell’ex regime del colonnello.  Stiamo assistendo, dunque, ancora una volta, ai successi dell’“esportazione della democrazia” targata NATO.

Il che dovrebbe preoccuparci non solo per le sorti dei libici, ma anche per quelle delle nazioni europee, Italia in testa. Se, infatti, prima della rimozione di Gheddafi, Roma era in buoni rapporti con Tripoli con cui concludeva vantaggiosi accordi energetici e commerciali, ora il nostro Paese ha perso qualunque peso politico, diplomatico e militare nello Stato nordafricano, dove prevalgono – per ovvie ragioni – Stati come Russia e Turchia che sostengono rispettivamente il governo della Cirenaica, la prima, e quello della Tripolitania, la seconda. L’instabilità libica comporta per l’Italia ulteriori problemi a livello energetico e il potenziale aumento dei flussi migratori sulle coste del Belpaese.

Secondo i media libici, le proteste non si fermeranno. Sono, infatti, già previste nuove manifestazioni organizzate da movimenti giovanili che coinvolgeranno varie città dell’est, dell’ovest e del sud del Paese.
Allo stesso tempo le Nazioni Unite, che dall’inizio dell’odissea libica nel 2011 non sono state in grado di trovare alcuna soluzione concreta per il martoriato Stato nordafricano, hanno bollato come «inaccettabile» l’assalto al Parlamento: «Il diritto del popolo a protestare pacificamente deve essere rispettato e protetto, ma i disordini e gli atti di vandalismo come l’assalto al quartier generale della Camera dei rappresentanti la scorsa notte a Tobruk sono totalmente inaccettabili», ha asserito Stephanie Williams, consigliere speciale dell’ONU per la Libia.

[di Giorgia Audiello]