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La forzatura del governo sull’uso del POS è un nuovo regalo alle banche

Da ieri, 30 giugno, è scattato in Italia l’obbligo di POS per i commercianti, prestatori di servizi e professionisti. Il Point of sale, o terminale di pagamento, è un dispositivo elettronico che consente di effettuare pagamenti mediante moneta elettronica, ovvero tramite carte di credito, di debito o prepagate. Le diverse tipologie di POS sono accomunate dalle commissioni bancarie che variano mediamente tra l’1% e il 4% a carico dell’esercente. È su questo punto che vertono le proteste di coloro che vendono un servizio/prodotto finale al cliente: dai tassisti ai liberi professionisti, dalle edicole agli ambulanti, dai parrucchieri ai panettieri e ai fiorai. Non l’utilizzo del POS, che viene considerato dagli stessi esercenti come un motivo di sicurezza dal momento in cui diminuisce la quantità di moneta cartacea in cassa, ma le commissioni a vantaggio delle banche, che accresceranno i loro profitti a meno di improbabili misure governative.

In effetti, ad oggi le strade percorribili sono due: trasferire l’onere della commissione allo stato (e per esteso ai cittadini) o giungere a un accordo con gli istituti bancari per abolirle o al massimo modificarle. Si tratta di due alternative difficili, che sicuramente non entreranno in vigore nel prossimo futuro. Ciò che, invece, produce effetti giuridici all’interno del nostro ordinamento è l’obbligo per i commercianti, prestatori di servizi e professionisti di accettare dai clienti pagamenti elettronici, pena multe da 30 euro a cui si aggiunge il 4% della transazione negata. L’iter sanzionatorio ha inizio con una denuncia da parte del cliente nei confronti dell’esercente che non si è adeguato alla misura. Tuttavia, la legge prevede che “in caso di problemi tecnici o di connessione” riguardanti il POS non possano scattare sanzioni e multe.

Considerando le diverse aziende che mettono a disposizione degli esercenti i dispositivi per i pagamenti elettronici, emerge che la commissione media sia dell’1,5%. A rappresentare un “valore estremo” è Satispay, che non applica alcun costo aggiuntivo sulle transazioni inferiori a dieci euro. Ad ogni modo, si tratta di percentuali sui beni di consumo e sui servizi che andranno ad arricchire le banche, ricevendo passivamente decine di migliaia di euro al giorno. Per capire l’impatto delle commissioni sulla potenza d’acquisto è esemplificativo paragonare lo scambio di moneta cartaceo a quello digitale (nel caso in cui si applichino commissioni): partendo da una banconota da 100 euro – anche dopo scambi fisici infiniti – l’ultima persona che li incasserà si troverà in mano sempre le stesse 100 euro. Nell’ipotesi digitale, invece, all’aumento degli scambi corrisponde una diminuzione della quantità di moneta, più o meno rapida a seconda della commissione applicata. Per esempio, applicando anche solo la commissione minima, le stesse 100 euro scambiate via bancomat caleranno dell’uno percento ogni volta. Diventeranno 99 euro alla prima transazione, poi quelle 99 diventeranno 98,01 euro, poi 97,03, e così via. Alla cinquantesima transazione quelle che in principio erano 100 euro saranno diventate 62 e spicci. E i 38 euro mancanti? Tutti quanti “regalati” alle banche.

[di Salvatore Toscano]