- L'INDIPENDENTE - https://www.lindipendente.online -

La NATO annuncia altri 260.000 soldati, ma tranquilli: la guerra del futuro sarà “green”

La NATO aumenterà da 40.000 a 300.000 unità le forze di pronto intervento, specialmente sul fianco orientale europeo dell’Alleanza ai confini con la Federazione russa. Lo ha annunciato il Segretario generale della NATO Jens Stoltenberg, in vista del summit dell’Alleanza che si è aperto ieri a Madrid. Si tratta della «più grande revisione della nostra deterrenza e difesa collettiva dai tempi della Guerra Fredda», ha asserito. L’annuncio si scontra però con un’altra dichiarazione rilasciata sempre da Stoltenberg al vertice NATO: il Segretario generale ha affermato, infatti, che la NATO si impegnerà a ridurre le emissioni del 45% entro il 2030 e ad azzerarle entro il 2050. «Il cambiamento climatico rappresenta un serio rischio per tutti noi. […] Il cambiamento climatico è importante per la sicurezza; quindi, è importante per la NATO» ha affermato. Considerato l’enorme impatto ambientale causato dalla produzione e dall’uso di armi, nonché dallo spostamento di soldati e mezzi militari, i due obiettivi annunciati da Stoltenberg – quello militare e quello relativo agli impegni climatici – appaiono, tuttavia, inconciliabili.

Nello specifico, infatti, la NATO intende non solo aumentare il numero di soldati delle unità di risposta rapida, ma anche incrementare le spese militari e, dunque, la produzione dell’industria bellica. Il tutto tenendo fede agli obiettivi stabiliti dal Green Deal europeo. Le forze di risposta rapida saranno costituite da unità di terra, marittime e aeree, compresa un’unità di forze speciali costituita dopo l’annessione della Crimea da parte della Russia nel 2014. Stoltenberg ha quindi specificato [1] che «miglioreremo i nostri gruppi tattici nella parte orientale dell’Alleanza», al confine con la Russia, così come richiesto dai Paesi baltici e dalla Polonia. Molte di queste forze non saranno stazionate permanentemente sul fianco orientale, ma ruoteranno invece attraverso la regione per l’addestramento, come spiegato [2] da Politico. Si tratta di un chiaro messaggio al Cremlino che, tuttavia, non fa altro che aumentare la tensione nel Vecchio Continente.

A ciò si aggiunge l’annuncio dell’incremento delle spese militari per i Paesi NATO: secondo Stoltenberg, infatti, il 2% del PIL in spesa militare «è sempre più considerato come un punto di partenza, non un tetto. Concorderemo anche di investire di più insieme nella NATO, per il bene della nostra sicurezza». Il 2022 sarà l’ottavo anno consecutivo di aumenti per i bilanci della difesa tra gli alleati europei e il Canada, che entro la fine dell’anno avranno investito oltre 350 miliardi di dollari in più rispetto a quanto concordato nel 2014. Una corsa agli armamenti, dunque, che non solo è in contrasto con l’obiettivo – spesso dichiarato dai leader occidentali – della pace e della diplomazia, ma anche con la lotta al cambiamento climatico di cui il segretario della NATO si fa portavoce. Le emissioni e l’inquinamento causati dai conflitti, dalla produzione di armi e dall’ingente impiego di idrocarburi per gli spostamenti sono, infatti, infinitamente superiori a quello che viene normalmente sottolineato dai media e dalle istituzioni politiche. Per questo, il discorso del Segretario dell’Alleanza appare più come un’operazione di greenwashing volta a convincere e rassicurare l’opinione pubblica, che non come un obiettivo concreto ed effettivamente perseguibile.

Nonostante ciò, Stoltenberg nel corso della conferenza al vertice di Madrid ha dichiarato [3] che «d’ora in poi terremo conto del cambiamento climatico quando pianificheremo le nostre operazioni e le nostre missioni, e dello sviluppo di nuove capacità, per assicurare di rimanere efficaci in questo ambiente sempre più duro». Stoltenberg ha quindi fatto sapere che è stato messo a punto un metodo per misurare le emissioni sia civili che militari: la nuova metodologia «stabilisce cosa contare e come contarlo, e sarà messa a disposizione di tutti gli alleati per aiutarli a ridurre le proprie emissioni militari. Questo è vitale perché ciò che viene misurato può essere ridotto». Oltre a contare le emissioni, l’intenzione è poi quella di sostituire – in un non meglio precisato futuro – i veicoli militari attuali con mezzi più avanzati di tipo elettrico, di modo da ridurre l’uso dei carburanti fossili. «Rendendo i nostri equipaggiamenti più efficaci e sfruttando al massimo i vantaggi delle nuove tecnologie possiamo migliorare il nostro settore militare per rafforzare la nostra sicurezza, così come aiutare ad affrontare il cambiamento climatico, e questo aumenterà anche la nostra resilienza» ha asserito, aggiungendo che «non sarà facile, ma si può fare».

Considerato che l’Unione Europea continua a far slittare gli impegni per la decarbonizzazione e la quasi totale impossibilità di applicarla all’ambito militare – soprattutto in tempi brevi – la nuova guerra green targata NATO appare come l’ennesimo tentativo di tenere insieme gli astratti e ideologici impegni europei sul clima con l’esigenza pratica e impellente di contenere in ogni modo possibile la Russia. Anche a costo di andare incontro ad un’estensione del conflitto, considerato il livello massimo di tensione raggiunto. Anche in quest’ultimo caso, si tratterebbe – beninteso – di una guerra (mondiale) green.

[di Giorgia Audiello]