- L'INDIPENDENTE - https://www.lindipendente.online -

Guerra e siccità come business: le multinazionali del grano OGM puntano sulla crisi

L’azienda argentina Bioceres Crop Solutions ha dichiarato [1] di voler condurre dei test – utilizzando il proprio grano OGM – in Australia, per valutare la resistenza alla siccità del prodotto e di conseguenza ottenere l’approvazione per la semina nel 2024. La decisione di esaminare ora le caratteristiche di questo grano geneticamente modificato non è casuale. Lo stesso amministratore delegato della Bioceres, ha ammesso che il periodo è propizio perché i consumatori sono preoccupati. E lo sono per diversi motivi: prima di tutto, a causa dell’aumento del costo dei prodotti come pane e pasta (dovuto principalmente allo scoppio della guerra in Ucraina [2]). Anche le condizioni meteorologiche sempre più estreme (ce ne accorgiamo con il caldo anomalo di questi giorni) alimentano le preoccupazioni: il timore più grande è che in futuro possa aumentare il rischio di carestie globali. Tutti questi fattori, messi insieme, – secondo l’ad dell’azienda – potrebbero portare molte più persone ad accettare le coltivazioni OGM, che negli anni hanno incontrato l’opposizione di agricoltori e acquirenti, visto che «la situazione straordinaria che stiamo vivendo ha creato un contesto diverso da quella che avevamo prima del conflitto e mette il grano al centro».

In generale alcuni paesi stanno mostrando una maggiore apertura nei confronti del tema, soprattutto a causa dei cambiamenti climatici. L’Australia, ad esempio, anche se non ha ancora acconsentito alla semina del grano prodotto da Bioceres, permette la vendita e il consumo degli alimenti derivati dalla sua lavorazione. Al momento la sua coltivazione è prevista in Argentina e Brasile, che sta testando il prodotto nella regione arida della savana “Cerrado”. L’obiettivo è quello di coinvolgere un numero di stati sempre più grande. L’Amministratore delegato di Bioceres ha raccontato [3] di aver avanzato la stessa richiesta fatta all’Australia anche agli USA (in particolare al Dipartimento dell’Agricoltura e alla Food and Drug Administration). Negli Stati Uniti, infatti, il livello di siccità raggiunto dal terreno sta rendendo difficile il raccolto del grano, che spesso finisce per essere decimato.

Affrontando la questione in maniera più ampia, in realtà i fattori di preoccupazione s’intersecano tra loro. La siccità rende i raccolti più scarsi, obbligando molti paesi a rivolgersi altrove per soddisfare il proprio fabbisogno nazionale. Un punto di riferimento, in questo, erano Russia e Ucraina [4] che ora, a causa del conflitto, hanno mandato in tilt un po’ tutti i mercati globali dei cereali, [5] spingendo alla ricerca di alternative. Succede anche nell’Unione Europea, che per molti anni si è fatta portavoce di un approccio piuttosto rigoroso nei confronti delle pratiche agroalimentari. Ma in tempi di crisi le restrizioni potrebbero non essere più così ferree (come nel caso della rivalutazione delle centrali a carbone per produrre energia). Nello specifico, ad oggi, le norme emanate dall’UE prevedono un iter molto lungo per l’approvazione di un prodotto OGM, che ne valuti tutti i rischi.

In Italia invece nelle ultime settimane si è cercato di aggirare “l’ostacolo”. La Camera dei deputati ha approvato l’11 maggio alcune mozioni per chiedere al Governo di aprirsi maggiormente ai nuovi OGM (i TEA, tecnologie di evoluzione assistita) per fronteggiare la crisi del grano. “…ricorrere alle nuove tecnologie [6] genetiche dedicate alle piante per aumentarne, in sicurezza, la produttività e per migliorare la resistenza delle piante alle malattie e ai parassiti, velocizzando i processi che avvengono comunque in modo naturale”. Se approvata, la mozione andrebbe contro al regolamento UE, anche se sul nostro territorio dei paradossi ci sono già. Importiamo da Stati Uniti e dal Sud America, ad esempio, milioni di tonnellate di mais e soia transgenici per nutrire gli animali da allevamento. Gli stessi animali che finiscono sulle nostre tavole.

Associazioni come Greenpeace si sono schierate contro [7] la proposta dei parlamentari, sostenendo che, [7] anziché promuovere colture alternative, “l’Italia dovrebbe altresì migliorare la posizione dei contadini di piccola scala nella filiera, proteggendo le produzioni tipiche e favorendo lo sviluppo dell’agroecologia”.

[di Gloria Ferrari]