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L’Unione europea va di nuovo a sbattere sull’ex Jugoslavia

Il Consiglio europeo ha riconosciuto all’Ucraina e alla Moldavia lo status di paesi candidati a entrare a far parte dell’Unione. I rappresentanti dei 27 stati membri hanno approvato le richieste avanzate da Kiev il 28 febbraio e dalla Moldavia il 3 marzo scorso, dichiarando di essere pronti a concedere lo status alla Georgia quando il paese avrà affrontato le priorità messe in luce dalla Commissione europea nel parere di venerdì 17 giugno. Si tratta del processo decisionale riguardante l’allargamento dell’Unione più veloce della storia comunitaria, che di riflesso ha generato malumori durante il fallimentare vertice UE-Balcani Occidentali di ieri. Al centro della protesta lo stallo della situazione di Sarajevo – che ha presentato domanda nel 2016 e ha ricevuto la risposta positiva della Commissione sub conditione – e il contemporaneo sorpasso di Ucraina e Moldavia.

Austria, Slovenia e Croazia avevano infatti deciso di bloccare le discussioni sull’adesione di Ucraina e Moldavia fino a quando non si fosse trovata almeno una risposta parziale alla crisi bosniaca. Il Consiglio europeo ha così dovuto fare delle concessioni durante la conclusione del vertice e sì è dichiarato pronto a concedere lo status di paese candidato alla Bosnia ed Erzegovina, invitando la Commissione a riferire in merito all’attuazione delle 14 priorità-chiave dell’Unione e dei 19 punti presenti nell’accordo di Bruxelles, siglato nelle scorse settimane con Sarajevo per impegnare tutti i partiti nazionali a preservare uno stato «pacifico, stabile, sovrano e indipendente». Si tratta di un insieme di riforme strumentali, secondo il presidente del Consiglio europeo Charles Michel, al raggiungimento dello status di candidato e all’adesione definitiva nell’Unione. Riforme che riguarderanno anche Ucraina e Moldavia prima della fase di negoziazione, l’ultimo step che separa un paese dalla firma del trattato di adesione. Tuttavia, non è stato ancora stabilito se e quando saranno avviate le negoziazioni, visti anche i diversi problemi che le rendono per il momento improbabili se non impossibili: conflitto tra Russia e Ucraina, questione della Transnistria [1], riforme strutturali per adeguarsi a leggi e standard europei e posizione conservatrice da parte di alcuni paesi membri, che non valutano positivamente un’ulteriore espansione dei confini dell’Unione e potrebbero ostacolare i capitoli di negoziazione, dal momento in cui è necessario il via libera all’unanimità.

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Balcani e Unione europea. Fonte: Eunews

Ad ogni modo, l’avvio delle negoziazioni non assicura l’adesione all’Unione europea, almeno in tempi brevi. Ne sono un esempio il Montenegro e la Serbia che, dopo aver raggiunto lo status di candidato, hanno avviato i negoziati rispettivamente nel 2012 e nel 2014 senza raggiungere, per il momento, alcun accordo. Discorso a parte merita la Turchia, che ha ottenuto lo status di candidato nel 1999 e ha iniziato la fase negoziale nel 2005, salvo poi essere congelata dal Consiglio affari generali per la politica del presidente Erdoğan. L’iter di Albania e Macedonia del Nord (entrambi candidati) sono attualmente bloccati per il veto di Francia, Paesi Bassi e Danimarca ai danni di Tirana e per quello della Bulgaria nei confronti di Skopje. Il Kosovo non ha invece ottenuto lo status di candidato ma ha firmato con l’Unione l’accordo di stabilizzazione e associazione (ASA). Tutte queste situazioni portano a uno stallo l’area balcanica, in bilico tra la dimensione nazionale e quella europea, che inevitabilmente fa crescere malumori e tensioni, anche a margine di quella che è stata definita dai leader delle istituzioni comunitarie una giornata storica per l’Unione.

[di Salvatore Toscano]