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Torino, dopo oltre un mese 4 studenti sono ancora detenuti per aver protestato

Si trova ancora in carcere Francesco, uno dei tre studenti sottoposti a custodia cautelare a partire dal 12 maggio scorso per aver partecipato, il 18 febbraio, a una manifestazione studentesca a Torino. Questo nonostante la giovanissima età del ragazzo, peraltro incensurato. Altri due studenti si trovano ai domiciliari con braccialetto elettronico e il divieto di contatto con chiunque non siano i familiari conviventi. Una terza ragazza si trova ai domiciliari, seppure con misure meno restrittive, per aver parlato al megafono nel corso della manifestazione. Come Francesco, tutti i giovani coinvolti, cui è stato contestato il reato di resistenza a pubblico ufficiale, sono incensurati.

Che senso ha la custodia cautelare per studenti incensurati che non hanno compiuto reati gravi? È una punizione? Una vendetta?? Un segnale di forza?”. Questo l’interrogativo al centro della lettera [1] che le detenute della sezione femminile del carcere Lorusso e Cotugno di Torino hanno inviato alle madri degli studenti sottoposti a misure cautelari per aver partecipato a una manifestazione contro l’alternanza scuola-lavoro lo scorso 18 febbraio. Una domanda che, in un modo o nell’altro, siamo portati a farci tutti. Dei tre giovani inizialmente sottoposti a misure di custodia cautelare in carcere solamente uno si trova ancora in cella: Francesco, di 20 anni appena compiuti. Gli altri due, i ventiduenni Jacopo ed Emiliano, si trovano ai domiciliari, ma con braccialetto elettronico e divieto di contatto con chiunque non siano i familiari conviventi.

«Si tratta di una misura se vogliamo ancora peggiore del carcere, perché quantomeno lì si può socializzare. Così chiusi in casa sono completamente isolati. Non possono lavorare, sostenere gli esami, fare visite mediche, parlare con nessuno» ci dice al telefono Cinzia, mamma di Jacopo. «La condotta di Francesco è stata evidentemente ritenuta più grave, tuttavia le accuse contro di lui non sono ancora state confermate, non si sa se sia stato veramente lui». I ragazzi, tutti incensurati, sono accusati di resistenza a pubblico ufficiale, in seguito alla quale diversi agenti hanno avuto una prognosi media di 6 giorni «per ferite non meglio specificate». La pena prevista, in caso di condanna, potrebbe superare i 3 anni e mezzo di reclusione, anche se, riferisce Cinzia, gli avvocati ritengono improbabile l’eventualità di una pena così lunga. Altri 7 ragazzi sono ora sottoposti a obbligo di firma per i fatti del 18 febbraio mentre Sara, una studentessa di 19 anni e incensurata, si trova ai domiciliari aver parlato al megafono durante la manifestazione. Solamente poche settimane prima, il 28 gennaio, la polizia aveva caricato senza alcun motivo gli studenti (per la maggior parte minorenni) che protestavano in piazza Arbarello contro l’alternanza scuola-lavoro, provocando il ricovero di decine di loro per via delle ferite riportate.

«L’impressione è che a Torino vi sia una gestione della piazza e delle misure cautelari particolarmente eccedente rispetto alla norma. Come si può pensare di usare uno strumento come la carcerazione o l’applicazione di braccialetto elettronico a ragazzi incensurati di 19-20 anni per aver partecipato a movimenti studenteschi?» dichiara Cinzia. «Noi non mettiamo in discussione l’intervento della magistratura, ma le modalità con le quali vengono messi in atto gli interventi. Poi se ci sarà necessità di applicare delle sanzioni si verrà sanzionati». Come spiega Cinzia, inoltre, «Le indagini sono state chiuse, ora partirà tutto l’iter ma può passare anche un anno prima del primo processo. Quando finiranno le misure? Quando uscirà Francesco dal carcere? Quando finiranno i domiciliari? Sara, che è rea di aver parlato a un megafono, quando potrà uscire?». La vicenda ha portato a sollevare due interrogazioni parlamentari [2], in Camera e Senato, rivolte ai ministri Cartabia e Lamorgese.

Ulteriore quesito da non sottovalutare è quale possa essere l’effetto di mesi di carcere su di un ragazzo così giovane e potenzialmente innocente. Come scrivono le detenute della sezione femminile, “Il carcere è una scuola del crimine in cui si coltiva la rabbia e l’impotenza assoluta quindi, specie per i giovani non è proprio utile ritrovarsi lì o isolati dal contesto socio-culturale”. La situazione è resa ancora più complessa dal persistente problema di sovraffollamento del carcere di Torino, sul quale ha recentemente riportato l’attenzione [3] la garante comunale per i diritti dei detenuti Monica Cristina Gallo. Sono oltre 1300 le persone attualmente detenute al Lorusso e Cotugno di Torino, “a fronte di una capienza di 1060”, dato al quale si va ad aggiungere “l’aumento preoccupante di giovani detenuti” che rende il carcere “quasi contenitore di una rabbia sociale che varrebbe la pena invece curare sul territorio”.

[di Valeria Casolaro]