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La pace come foglia di fico: i reali motivi della visita di Draghi in Israele

È terminata ieri la visita di due giorni del premier italiano Mario Draghi in Israele, dove ha incontrato sia il primo ministro israeliano Naftali Bennet che quello palestinese Mohammad Shtayyeh: era dal 2015 che un capo di governo italiano non si recava nello Stato ebraico e l’incontro assume una rilevanza strategica particolare, dovuta all’importanza e alla quantità dei dossier trattati. Molti, infatti, i temi sul tavolo: tra i principali, la questione energetica, la risoluzione del conflitto in Ucraina, la crisi del grano, il rilancio del processo di pace in Palestina, ma anche il tentativo da parte di Roma di ritagliarsi un ruolo strategico nello scacchiere mediorientale.

Nonostante la stampa abbia dato particolare risalto al tema della pace in Ucraina, più volte auspicata dal Presidente del Consiglio, i reali obiettivi della visita erano chiaramente altri, a cominciare dal rendere l’Italia meno dipendente dal gas russo: così, dopo il viaggio del Premier in Algeria lo scorso aprile, è ora il turno di Israele che nel 2010 ha scoperto un giacimento marittimo – chiamato Leviathan – a 130 chilometri da Haifa, la terza città più importante di Israele. Si tratta del giacimento più grande scoperto finora nel mediterraneo, le cui riserve stimate sono di circa 600 miliardi di metri cubi.

In seguito alla diminuzione delle importazioni di gas russo, si fa sempre più pressante l’esigenza di creare un collegamento energetico che trasporti il gas israeliano in Europa e, in particolare, in Italia. Un gasdotto che doveva assolvere tale funzione era già stato approvato, sebbene il progetto non sia poi decollato: si tratta del gasdotto Eastmed, un’infrastruttura lunga 1900 chilometri, costruita per un terzo su terraferma e il restante in mare. La tratta del gasdotto parte dalle coste israeliane, passa per Cipro ed Egitto e arriva in Grecia: qui, l’ultima parte del gasdotto – denominata Poseidon e lunga 210 chilometri – dovrebbe arrivare fino a Otranto, in Puglia. Il gasdotto avrebbe la capacità di trasportare 12 miliardi di metri cubi all’anno di gas per arrivare fino a un massimo di 20 miliardi. «Vogliamo aiutare l’Europa e l’Italia producendo gas naturale, è una collaborazione necessaria” ha affermato [1] il primo ministro israeliano Bennet, parlando anche di «salto di qualità» nei rapporti tra Italia e Israele.

Tuttavia, al fine dell’indipendenza energetica da Mosca, il problema è ancora una volta legato ai tempi: serviranno tre o quattro anni per realizzare l’opera e, secondo l’ultima deroga all’autorizzazione, firmata dal Ministro per la transizione ecologica Roberto Cingolani, i lavori non partiranno prima di ottobre 2023. Ciò significa che fino al 2027 non ci sono reali possibilità di sostituire completamente il gas russo. Parallelamente, vanno avanti i progetti per una possibile collaborazione riguardante le energie rinnovabili, in particolare l’idrogeno verde: quest’ultimo sarà oggetto di un dialogo ad hoc tra la ministra dell’energia israeliana, Karine Elharrar-Hartstein, e l’omologo italiano, Cingolani. C’è poi la volontà di allargare la collaborazione dei due Stati a settori innovativi come la robotica  la mobilità sostenibile, l’aerospazio e la tecnologia applicata all’agricoltura.

Per quanto riguarda la guerra in est Europa, il premier italiano ha sottolineato il suo sostegno all’Ucraina e l’impegno per la pace, sottolineando lo «sforzo di mediazione» di Israele tra Mosca e Kiev e rilanciando l’impegno comune per scongiurare «la catastrofe alimentare dovuta al blocco dei porti del Mar Nero». La proposta del Premier è quella di creare con la massima urgenza corridoi sicuri per il trasporto del grano: soluzione che era già stata discussa tra Mosca e Ankara e che, purtroppo, rimarrà solo sulla carta, almeno finché non si troverà un accordo per sminare i porti sulle coste ucraine del Mar Nero.

Dopo l’incontro con Bennet, Draghi ha raggiunto a Ramallah il primo ministro palestinese Mohammad Shtayyeh, dopo aver visitato il memoriale di Yad Vashem: alla luce dei recenti episodi di violenza avvenuti in Palestina, in particolare l’uccisione della giornalista palestinese Shereen Abu Aqleh da parte dei soldati israeliani, il confronto tra i due presidenti appare significativo. Shtayyeh, infatti, ha chiesto [2] esplicitamente al premier italiano un aiuto per rilanciare la soluzione dei «due stati» e per fermare «l’escalation israeliana verso il nostro popolo». Draghi ha, dunque, ribadito l’impegno di Roma per la pace in Medioriente, aggiungendo che «il dialogo deve continuare in modo da riportare fiducia. Dobbiamo continuare a lavorare per ridurre le tensioni a ogni livello e dobbiamo essere uniti nel condannare la violenza e difendere i diritti umani, civili e religiosi». Parole che, considerato lo stretto rapporto del nostro Paese con Israele e il sostanziale silenzio della stampa e della politica italiana sui crimini perpetrati ai danni del popolo palestinese, suonano di circostanza. Significativo il fatto che lo stesso Draghi non abbia pronunciato nemmeno una sillaba sulle violenze di stato che Israele perpetua in Palestina, né sul grande piano di sostituzione etnica [3] approvato da Tel Aviv.

A Ramallah, i due capi di governo hanno siglato sei accordi di cooperazione da 17 milioni di euro, in settori come l’occupazione giovanile, la sanità, la conservazione del patrimonio culturale e la statistica applicata al settore agricolo e salute. Spiccioli che non basteranno certo a mitigare gli effetti sull’economia palestinese dell’occupazione israeliana.

Si tratta ad ogni modo di questioni di contorno, quasi obbligate e in favore di telecamera, al centro rimane il gasdotto Eastmed, nei piani italiani fondamentale non solo per la sicurezza energetica italiana, ma anche per il rilancio di Roma nel Grande Medio Oriente: progetto che, tuttavia, incontra alcune resistenze da parte di Turchia e Stati Uniti. La prima, infatti, teme di rimanere isolata avvantaggiando greci e ciprioti, la seconda non vuole irritare la Turchia, ma soprattutto non vede di buon occhio l’indipendenza energetica europea e italiana che ridurrebbe la sua possibilità di esercitare pressioni geopolitiche. Gli interessi italiani devono trovare spazio, dunque, tra il faticoso percorso di affrancamento dal gas russo e le pretese americane che, quasi sempre [4], risultano contrarie all’interesse nazionale.

[di Giorgia Audiello]