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Gli indigeni dell’Ecuador lanciano la “rivolta popolare” contro il governo

Lo sciopero nazionale indetto dalla principale organizzazione indigena dell’Ecuador, il CONAIE (Confederacion de Nacionalidades Indigenas de Ecuador), e iniziata il 13 giugno ha visto una rapida escalation nella natura delle proteste quando si è diffusa la notizia dell’arresto di Leonidas Iza, il presidente del CONAIE. Iza è stato prelevato nella provincia di Cotopaxi e detenuto per 24 ore in maniera “illecita, arbitraria e illegittima” secondo il suo avvocato, non essendovi né le prove dei reati né mandati d’arresto a suo carico. Iza aveva dato indicazione di bloccare strade e servizi pubblici in tutto il Paese e stava bloccando, insieme ad alcuni manifestanti, la strada E35 nei pressi di Pastocalle.

Dopo 24 ore di detenzione, Leonidas Iza è stato rilasciato [1] ed è prevista per mercoledì 15 giugno l’udienza di riesame per il suo caso. Il presunto reato ipotizzato nei suoi confronti è quello di aver provocato la paralisi di un servizio, punibile secondo il Codice penale ecuadoriano con la detenzione da 1 a 3 anni. La detenzione del leader del CONAIE ad appena un giorno dall’inizio delle proteste ha scatenato una dura ondata di risentimento tra i manifestanti, che hanno protestato in massa per le strade della provincia di Cotopaxi per richiederne il rilascio.

La mobilitazione nazionale indefinita era stata indetta [2] il 9 giugno dal CONAIE in risposta alla “incapacità e mancanza di volontà del governo”. A seguito di diversi incontri con il governo di Lasso, infatti, non si era riusciti a giungere a una soluzione soddisfacente per le richieste avanzate dal popolo indigeno. Queste vengono riassunte [3] in 10 questioni, tra le quali figurano la richiesta della riduzione e del congelamento del prezzo del carburante, il rifinanziamento dei debiti del settore agricolo per un anno, il controllo dei prezzi dei prodotti agricoli, la fine della precarietà dell’orario di lavoro, la revisione dei progetti di estrazione e il rispetto dei 21 diritti collettivi degli indigeni, tra i quali quello all’educazione bilingue e al ricorso alla giustizia indigena.

Il governo di Lasso ha da subito messo in atto una dura repressione delle proteste, nel timore che queste assumessero i toni [4] delle rivolte dell’ottobre del 2019. In quell’occasione il CONAIE guidò due settimane di forti proteste, violentemente represse dalla polizia, contro l’ex presidente Moreno e il pacchetto di misure economiche elaborato in seguito all’accordo tra il governo ecuadoriano e il FMI per un prestito di 4,2 miliardi di dollari. Dopo due settimane di scontri brutali per le strade di Quito i movimenti indigeni, appoggiati da quelli studenteschi e della cittadinanza, erano riusciti a ottenere il ritiro del decreto. Proprio in ragione di quanto accaduto nel 2019, l’arresto di Iza costituisce un forte segnale da parte del governo.

Il presidente Lasso, che ha attribuito a Iza la responsabilità delle violenze accadute nel corso degli attuali scontri, dopo il suo arresto ha dichiarato l’inizio della “detenzione degli autori intellettuali e materiali di questi atti violenti”, frasi che non hanno fatto altro che inasprire la resistenza indigena, appoggiata anche questa volta da movimenti studenteschi, cittadini ed ex leader della regione, oltre che da numerose organizzazioni per la tutela dei diritti umani nazionali e internazionali.

Il governo ha ribadito che, pur non tollerando gli “atti vandalici”, il dialogo con gli indigeni rimane “aperto”: dichiarazioni cui non viene ormai dato alcun credito da parte dei gruppi indigeni.

[di Valeria Casolaro]