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Il tribunale reintegra il sanitario “no vax” e solleva la questione di costituzionalità

Un sanitario sospeso dal lavoro poiché non vaccinato deve essere immediatamente reintegrato a condizione che “si sottoponga a proprie spese, per la rilevazione del SARS-COV2, al test molecolare” ogni 72 ore, oppure ogni 48 ore al “test antigenico da eseguire in laboratorio” o al “test antigenico rapido di ultima generazione”: è quanto ha disposto il Tribunale di Sassari, Sezione Lavoro, nella persona del Giudice Gaetano Savona. Quest’ultimo, infatti, ha recentemente pronunciato un’ordinanza [1] di accoglimento del ricorso cautelare presentato dall’avvocatessa Maria Paola Demuru in nome e per conto del sanitario sospeso in questione, ravvisando l’illegittimità costituzionale della normativa impositiva della vaccinazione obbligatoria.

Il giudice infatti non si è limitato a predisporre il reintegro del sanitario ma ha sostanzialmente anticipato quelli che potrebbero essere gli esiti dell’eventuale giudizio di merito che ciascuna parte potrà intraprendere con lo scopo di accertare le vicende oggetto di causa ed ottenere una sentenza, ossia una decisione definitiva. Infatti, seppur l’ipotetica estinzione del giudizio di merito non determinerà l’inefficacia del provvedimento cautelare (che continuerà a produrre effetti tra le parti), il giudice ha effettuato una “prognosi circa l’esito del giudizio di costituzionalità che, nell’ambito del merito della controversia, dovesse introdursi”: una prognosi che, secondo il giudice, è appunto “nel senso dell’illegittimità costituzionale”.

A tal proposito nell’ordinanza viene sottolineato che, come chiarito dalla stessa Corte Costituzionale, “la legge impositiva di un trattamento sanitario non è incompatibile con l’art. 32 Cost a varie condizioni, tra cui quella che il trattamento sia diretto non solo a migliorare o a preservare lo stato di salute di chi vi è assoggettato, ma anche a preservare lo stato di salute degli altri”. Nello specifico, “è proprio tale ulteriore scopo, attinente alla salute come interesse della collettività, a giustificare la compressione di quella autodeterminazione dell’uomo che inerisce al diritto di ciascuno alla salute in quanto diritto fondamentale”. Tuttavia, precisa il giudice, “attingendo a circostanze che possono essere ormai considerate notorie può affermarsi che la vaccinazione non elide il rischio di contrarre il virus SARS-CoV-2, né, tanto meno, di trasmetterlo a soggetti terzi con cui si entri in contatto“. In tal senso, ad esempio, “depongono tutti i report del Istituto Superiore della Sanità, che rilevano un’efficacia limitata dei diversi tipi di vaccino, che peraltro cala nel corso di un breve lasso di tempo, rispetto al rischio di contrarre la malattia”. Di conseguenza, “il mero fatto che un lavoratore si sia sottoposto al vaccino, non garantisce, né abbatte il rischio in modo prossimo alla certezza, che egli non contragga il virus e che quindi, recandosi sul luogo di lavoro, non infetti le persone con cui ivi viene a contatto”.

Il tampone invece “consente di escludere, sebbene per un periodo di tempo limitato (due o tre giorni), con probabilità affatto elevata, superiore al 90%, che un soggetto sia portatore del virus e, quindi, allo stesso tempo possa trasmetterlo agli altri”: conseguentemente, la normativa che ha introdotto l’obbligo vaccinale appare “irragionevole” nonché in contrasto anche con “gli artt. 3 e 35 della Costituzione, laddove non consente, in alternativa allo strumento del vaccino, l’utilizzo di quello assai più efficiente del tampone, da ripetersi con periodicità adeguata a cura e carico del lavoratore che non voglia sottoporsi alla vaccinazione”. Non solo, perché ad essere violata sembra essere secondo il giudice anche il diritto al lavoro sancito dall’articolo 4 della Costituzione, in quanto in riferimento allo stesso il giudice parla di “un obbligo inutile e gravemente pregiudizievole”. Per i sanitari non vaccinati infatti è appunto stata prevista la “sospensione dal lavoro e dalla retribuzione in caso di inadempimento dell’obbligo vaccinale”, il quale però “non si pone in necessaria correlazione con la finalità di evitare il contagio e di tutelare la salute dei terzi, vale a dire la salute pubblica”. La conclusione a cui arriva il giudice, quindi, è quella secondo cui il bilanciamento tra i diritti costituzionali coinvolti sia stato operato dal legislatore in maniera “manifestamente irragionevole rispetto alla finalità perseguita”, ovverosia quella di “tutelare la salute pubblica e mantenere adeguate condizioni di sicurezza nell’erogazione delle prestazioni di cura e assistenza”.

Si tratta dunque di un’ordinanza alquanto rilevante, tanto più perché giunta a seguito a tutta una serie di altri provvedimenti con cui i giudici si sono schierati dalla parte dei soggetti spesso etichettati come “no vax”. Basterà citare una ordinanza [2] degli scorsi mesi del Tribunale di Padova, con cui sostanzialmente è stato sancito il principio per cui le aziende ospedaliere non possono rifiutarsi di assumere i sanitari che non si sottopongono al vaccino anti Covid ed una recente sentenza [3] del Giudice del Lavoro di Treviso, dalla quale è emerso che il legislatore abbia implicitamente riconosciuto che la sospensione degli insegnanti non vaccinati fosse illegittima.

[di Raffaele De Luca]