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La vicenda oscura dei tre italiani rapiti in Mali

Il 19 maggio scorso sono stati rapiti tre italiani in Mali, Paese dell’Africa Occidentale. Una notizia [1] di cronaca “scomoda” trattata come spesso accade in maniera molto velata. Perché per questioni simili, alquanto delicate, i piani alti preferiscono non agitare le acque attraverso tempeste mediatiche. Un modus operandi di cui ormai si conosce la trama: un iniziale boom di notizie mai troppo dettagliate che poi finiscono fin troppo presto nel dimenticatoio. Proprio com’è accaduto per i tre cittadini italiani originari di Potenza, Rocco Antonio Langone, Maria Donata Caivano e il figlio 43enne della coppia Giovanni Rangone. Come confermato in una nota da parte della Farnesina i tre connazionali si trovavano in Sincina, nel distretto di Koutiala, nel sud est del Mali. E dal Ministero degli Esteri è stata specificata l’importanza di “Mantenere il massimo riserbo”.

Richiesta talmente rispettata che in pochissimi sanno dei tre italiani rapiti per mano del Fronte Nazionale del Macina (Flm) un gruppo armato conosciuto anche come Katiba Massina. Con i connazionali era presente un uomo togolese, amico dei tre di cui non è certa l’identità, anch’esso rapito dagli uomini armati. Secondo quanto diffuso da Africa Express in contatto con il giornalista francese residente in Mali Serge Daniel, i quattro ostaggi sarebbero stati caricati su una macchina e poi portati al Nord del Paese africano. E nemmeno 48 ore dopo sono stati sequestrati altri due cittadini maliani nel nord del Paese, tra i quali un impiegato di una ONG occidentale.

Eventi simili capitano ormai da anni con una frequenza sempre maggiore, perché per i gruppi neojihadisti i rapimenti rappresentano una delle principali fonti di finanziamento. Attualmente almeno una decina di cittadini occidentali sono detenuti dalle forze jihadiste, oltre a soldati, insegnanti, religiosi e funzionari governativi maliani. Molti paesi occidentali, come appunto l’Italia, sono portati a trattare con i jihadisti, pagando ingenti riscatti. Verità conosciuta ma mai troppo diffusa tantomeno confermata dalle autorità – tantomenl smentita -. In poche parole ciò che succede non è un mistero, ma si il silenzio.

Alcune fonti, come dettaglia [2] il giornale Internazionale, parlano del valore della vita di un italiano sequestrato nel Sahel che sarebbe di circa cinque milioni di euro. Più l’ostaggio vive la prigionia, più aumenta il costo del rilascio. Nel triste mercato di carne umana variano anche le richieste di riscatto a seconda della nazionalità degli ostaggi. Ad esempio i cittadini francesi “valgono” più degli italiani i quali però hanno un “costo” maggiore rispetto ai cittadini spagnoli.

[di Francesca Naima]