- L'INDIPENDENTE - https://www.lindipendente.online -

Anche Telegram avrebbe ceduto dati degli utenti ai governi

Il social di messaggistica Telegram ha fama di essere un’alternativa di WhatsApp più attenta alla tutela della privacy dei propri utenti. Tra i suoi canali è possibile trovare contenuti e gruppi che il software della concorrenza non tollererebbe mai, inoltre il servizio può vantare un sistema di crittografia che è stato fortemente reclamizzato. Ebbene, alcune rivelazioni suggeriscono che l’app in questione non sia così resiliente come ci si aspettava e che nei dietro le quinte la sua dirigenza condivida alcune delle informazioni in suo possesso con le autorità poliziesche.

La tutela della privacy degli internauti da parte delle applicazioni di chat per smartphone è sempre una questione spinosa. Da una parte ci sono investigatori e legislatori che vorrebbero attingere ai Big Data per risolvere i casi più pungenti, dall’altra c’è un popolo di utenti che sono stufi di subire la sorveglianza, spesso illegale, imposta loro dai propri Governi o da entità terze non meglio specificate. Ambo le campane tendono a manifestare posizioni polarizzate e trovare un giusto equilibrio è notoriamente arduo.

In questo delicato contesto, la testata tedesca Der Spiegel [1]ha riportato un fatto che non sta piacendo al frangente che lotta per la difesa alla riservatezza, ovvero ha rivelato che nonostante le promesse Telegram stia iniziando a collaborare con Ufficio federale di polizia criminale (BKA) per dipanare i casi di abusi sessuali su minori. L’informazione, se confermata, andrebbe chiaramente a sbugiardare la posizione ufficiale dell’azienda, la quale riporta ancora oggi di non aver mai condiviso alcun dato con le autorità.

Più nello specifico, Telegram si è aperta nel 2018 al collaborare con le polizie di tutto il mondo, ma tale impegno dovrebbe essere limitato ai soli casi di terrorismo [2], inoltre, prima di poter avanzare alcuna pretesa, chi indaga deve comunque dotarsi di un mandato firmato dal tribunale. Per monitorare questo impegno tanto controverso, l’azienda ha promesso di pubblicare sulla sua piattaforma dei “report di trasparenza” che andassero a esplorare eventuali cessioni di dati, tuttavia il canale in questione [3] risulta ancora oggi privo di contenuti.

Telegram non ha ancora voluto chiarire la situazione, né a noi, né ad altri, tuttavia il report di Der Spiegel stocca degli affondi che, visti nel contesto tedesco, sembrano colpire il segno. Nel periodo di febbraio, il Ministero dell’interno tedesco ha creato un canale di dialogo con l’impresa tecnologica nel tentativo di convincerla a bloccare i contenuti ritenuti criminali, un confronto che è stato descritto come amichevole e costruttivo e che ha portato alla creazione di una casella mail che le autorità di Berlino possono adoperare per entrare in rapido contatto con gli operatori dell’app. Gli informatori della testata rivelano che in questo confronto è stato coinvolto in un secondo momento anche il Ministero della giustizia.

In tutto questo, Telegram ha in pendenza da parte della Germania una multa da 55 milioni [4] di euro proprio per non aver collaborato in passato con le indagini della polizia locale. Per mesi il gruppo tech è riuscito a tutelarsi dalla sanzione rifiutando il ritiro delle lettere di notifica inoltrate presso la sede amministrativa di Dubai, tuttavia il Governo tedesco ha aggirato l’ostacolo burocratico pubblicando i contenuti dei carteggi sul suo Foglio Federale. Non troppo tacitamente, i colleghi tedeschi suggeriscono che una simile pressione possa aver convinto Telegram a rivedere la sua rigidità, tuttavia a preoccupare non è tanto la condivisione delle informazioni, quanto la poca trasparenza che ammanta l’intera faccenda. Anche perché la definizione di “terrorismo” è estremamente fluida e i Governi tendono ad abusare della sua ambiguità per rinforzare il proprio controllo sulla società.

[di Walter Ferri]