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Nel nuovo indice mondiale di democrazia l’Italia viene dopo il Botswana

Ogni anno l’Economist pubblica i risultati del Democracy Index [1], un indicatore che, tenendo conto di diversi fattori, misura il livello di democrazia nei diversi Stati. Secondo i dati del 2021, su 167 paesi analizzati, 21 sono considerati democrazie piene, 53 sono democrazie imperfette, 34 sono regimi ibridi e 59 sono regimi autoritari. L’Italia nella classifica mondiale è la 31esima democrazia, catalogata come “democrazia imperfetta” con un punteggio di 7,68 (per essere definita “democrazia completa” bisogna arrivare almeno all’8), posizionata dopo Botswana e Israele e nello stesso “gruppo” di Ghana, Ungheria e Namibia.

Tavola delle democrazie
Fonte The Economist

Cosa ci ha impedito di arrivare a un risultato migliore? Partiamo dal presupposto che nella valutazione, l’indice tiene conto di 5 fattori: processo elettorale e pluralismo, libertà civili, funzione del governo, partecipazione politica e cultura politica. Ad ognuno di questi elementi viene assegnato un punteggio tra 0 e 10, dalla cui somma totale viene fuori la media che vi abbiamo riportato poche righe fa.

Per il nostro paese il fattore che più di tutti ha contribuito ad abbassare la media è il funzionamento del governo, che ha ottenuto 6,43 punti. Per la partecipazione politica, la cultura politica e le libertà civili i risultati si aggirano invece tra il 7 e l’8. Il punteggio più alto se lo aggiudica invece il processo elettorale, con 9,58. Tuttavia, rispetto all’anno precedente, la nostra valutazione è cambiata di pochissimo, abbassandosi da 7,74 a 7,68.

Può tirare un sospiro di sollievo la Norvegia, considerato il paese più democratico al mondo con 9,75 punti. Seguono Nuova Zelanda, Finlandia, Svezia, Islanda, Danimarca e Irlanda, a cui è stato affibbiato un punteggio superiore a 9. La stessa “sorte” italiana è toccata anche a Francia (22esimo posto) e Spagna (24esimo posto), che come noi rientrano nella categoria di “democrazie imperfette”.

Nello specifico, a pesare negativamente sugli indici spagnoli sono stati principalmente fattori come cultura politica poco sviluppata, bassi livelli di partecipazione, alto tasso di discriminazione di genere, e un sistema carcerario negligente. Tutti elementi che impediscono alla democrazia spagnola di essere tale al 100%, nonostante nel paese si svolgano eque e libere elezioni, e le libertà civili siano tutto sommato rispettate.

Dando uno sguardo più in generale, l’indice medio di democrazia dell’Europa occidentale si attesta attorno ai 8,23 su 10 (mentre quella centro-orientale si ferma a 5,36), l’America Settentrionale all’8,36 e un po’ più bassa l’America latina, con 5,83 (solo l’Uruguay rientra nella dicitura di “democrazia completa”). Chiudono l’Asia con 5,46 (qui solo Corea del Sud, Taiwan e Giappone sono classificate come democrazie complete), l’Africa subsahariana con 4,12 e Medio Oriente e Nord Africa con a 3,41.

Invece sono considerate dittature la maggioranza degli Stati del Medio Oriente e dell’Africa, oltre a Russia, Bielorussia e Cina. Dando uno sguardo alla popolazione, in sintesi il 46% dei cittadini mondiali vive in una democrazia, piena o imperfetta, il 17% in un regime ibrido e il 37% in un regime autoritario.

Confrontando i dati con quelli del 2020, sono molti di più gli stati che hanno affrontato dei peggioramenti (73) rispetto a quelli che invece hanno alzato l’indice (48). Per gli altri 46 non si sono registrate significative variazioni. Perché? “Soprattutto a causa delle restrizioni imposte dai governi alle libertà individuali e civili che si sono verificate in tutto il mondo in risposta all’emergenza sanitaria ma che in molti casi hanno solamente accelerato o reso “legittimi” processi di coercizione e autocrazia già in atto”.

Prendiamo ad esempio l’Afghanistan, ultimo in classifica e il cui indice è passato da 2,85 a 0,32 con l’arrivo dei talebani. Anche il Myanmar ha subito la stessa sorte, passando da 3,04 a 1,02: il paese sta ancora facendo i conti con gli strascichi lasciati dal colpo di stato del 2021. Al contrario, hanno registrato aumenti significativi invece l’Indonesia (passata da 6,3 a 6,71) e il Qatar (da 3,24 a 3,65).

[di Gloria Ferrari]