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Giornalisti e politici “filorussi”: il Copasir pubblica la lista di proscrizione

L’indagine del Comitato per la Sicurezza della Repubblica (Copasir) sulla disinformazione e la presunta propaganda filorussa nei media italiani è arrivata alla sua fase cruciale. Sono stati individuati (e diffusi) i nomi dei principali giornalisti e politici che, secondo il Comitato, avrebbero messo in piedi un’attiva propaganda pro-Putin per condizionare l’opinione pubblica. Dalla giornalista russa Maria Dubovikova al geografo e scrittore Manlio Dinucci, dal reporter freelance Giorgio Bianchi all’analista geopolitico Alessandro Orsini, passando per l’economista Alberto Fazolo, la testata giornalistica L’Antidiplomatico e il grillino Vito Petrocelli, sono diverse le personalità finite al centro delle accuse del Copasir. L’accusa: riportare fatti e notizie diverse da quelle ufficiali -questa, d’altronde, è la definizione di “controinformazione”-, e diffondere per questo posizioni filoputiniane.

La linea che divide la propaganda dalla libera circolazione di idee è sottile, ed è facile che venga spostata di qualche centimetro secondo convenienza. Soprattutto in un contesto delicato come quello attuale, dove la guerra in Ucraina ha scoperto i nervi di delicati equilibri geopolitici. L’indagine del Copasir, il cui scopo sarebbe quello di “preservare la libertà e l’autonomia editoriale e informativa”, ha così portato alla luce i nomi di quelli che alcune delle principali testate mainstream hanno definito “rete” o “gruppo [1]” di propaganda filorussa, quasi a suggerirne un movimento organico e organizzato. A scanso di equivoci, Il Corriere della Sera [2] ne pubblica una foto che richiama molto le immagini segnaletiche.

Tra le personalità incriminate figura, ad esempio, la giornalista russa Maria Dubovikova, residente a Mosca, criticata per i suoi attacchi contro il Governo. La giornalista si era scagliata in particolare contro il fatto che le bolle per l’invio delle armi in Ucraina recavano la data dell’11 marzo, ovvero una settimana prima dell’approvazione del Parlamento del 18 marzo. A finire nel mirino dell’indagine anche coloro che, al motto di “Non in mio nome”, rifiutano l’invio di armi verso l’Ucraina: a suggellare la gravità di queste posizioni, anche se sfugge l’attinenza tra i due fattori, vi è il fatto che tra questi vi siano anche “negazionisti del Covid e no vax”. Tacciati di essere sostenitori di Putin e di diffondere disinformazione sono poi coloro che sostengono l’esistenza di gruppi ucraini di matrice neonazista. Tuttavia, l’esistenza di gruppi neonazisti ucraini radicati nel territorio e avviluppati in fitte reti internazionali è una realtà storica ampiamente comprovata, come spiegato nella nostra inchiesta [3] sul battaglione Azov e le fazioni alleate di tutto il mondo. Non poteva non figurare, poi, il nome di Alessandro Orsini [4], licenziato dalla sua stessa università per via della propria analisi sulle origini ed i possibili sviluppi del conflitto ucraino-russo.

Contro la decisione del Copasir era arrivato a schierarsi [5] anche il presidente dell’Ordine dei Giornalisti, Carlo Bartoli, che aveva ribadito come la possibilità di dar voce a personalità differenti e la libertà di intervistare chi si ritiene opportuno sia uno dei cardini della professione giornalistica. Libertà di informazione è, d’altronde, anche possibilità di avere un contraddittorio e di esplorare più posizioni. Proprio quando questo non accade si ha la sensazione di assistere ad ampie campagne di propaganda, più che di informazione onesta.

[di Valeria Casolaro]