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Il Consiglio d’Europa si muove contro l’estradizione di Assange

L’estradizione negli Stati Uniti di Julian Assange non dovrebbe essere autorizzata a causa dell’impatto che tale decisione avrebbe sui diritti umani e in particolare sulla libertà dei media di svolgere il loro compito, ovverosia quello di fornire informazioni liberamente. È questo, sostanzialmente, quanto sottolineato dalla Commissaria per i diritti umani del Consiglio d’Europa, Dunja Mijatović, all’interno di una lettera [1] inviata al Ministro degli Interni del Regno Unito, Priti Patel, in vista della sua imminente decisione sull’estradizione del fondatore di WikiLeaks. “La natura ampia e vaga delle accuse contro il signor Assange, e dei reati elencati nell’atto di accusa, sono preoccupanti poiché molti di essi riguardano attività al centro del giornalismo investigativo in Europa e oltre”, si legge infatti nella lettera, in cui viene affermato che “consentire l’estradizione di Assange su questa base avrebbe un effetto raggelante sulla libertà dei media e, in ultima analisi, potrebbe ostacolare la stampa nello svolgimento del suo compito di fornitore di informazioni e di guardia pubblica nelle società democratiche”.

In pratica, secondo la Commissaria del Consiglio d’Europa (organizzazione internazionale da non confondere con il Consiglio europeo essendo estranea all’Ue) l’estradizione di Assange non dovrebbe essere consentita non solo a causa delle ovvie “preoccupazioni sollevate da esperti indipendenti sul trattamento che gli verrebbe riservato al momento dell’estradizione” ma anche in virtù delle “implicazioni più ampie” che tale scelta determinerebbe. Si tratta, tra l’altro, di concetti che erano già stati espressi pubblicamente nel 2020, quando tramite una dichiarazione [2] la Commissaria si era già schierata contro l’estradizione del giornalista d’inchiesta sottolineando che la stessa avrebbe avuto ripercussioni sui diritti umani che sarebbero andate “ben oltre il suo caso individuale”.

Evidentemente però tali preoccupazioni non hanno finora influito minimamente sulla possibile estradizione di Julian Assange, che potrebbe presto divenire realtà. Nelle scorse settimane la Corte dei Magistrati di Westminster ha infatti emesso un ordine formale di estradizione nei confronti del fondatore di WikiLeaks, autorizzandone il trasferimento negli Stati Uniti. Adesso la parola spetta appunto al ministro dell’Interno Priti Patel, che a breve dovrà autorizzare o meno la decisione. Se il trasferimento venisse definitivamente confermato, Assange rischierebbe una condanna a 175 anni di carcere in una prigione di massima sicurezza per aver contribuito a diffondere documenti riservati contenenti informazioni sui crimini di guerra commessi dalla forze armate americane in Iraq e in Afghanistan.

Non è un caso dunque che diversi cittadini, soprattutto in Inghilterra, stiano cercando di fare pressione sulle istituzioni esprimendo il loro dissenso a riguardo. Ad esempio, negli scorsi giorni centinaia di persone si sono riunite davanti al ministero dell’Interno britannico, a Londra, ed hanno protestato [3] contro l’estradizione di Assange. Non solo, perché anche in Italia si è recentemente svolta una manifestazione convocata [4] da Amnesty International di fronte all’ambasciata del Regno Unito, a Roma, con cui i partecipanti hanno ribadito che “il giornalismo non è un reato”.

[di Raffaele De Luca]