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L’Ucraina, la Nato e l’ovvietà della guerra: Kissinger aveva spiegato tutto nel 2014

Henry Kissinger rappresenta uno dei cardini della diplomazia statunitense novecentesca. Attore principale del XX secolo, è stato consigliere per la sicurezza nazionale e Segretario di Stato degli Stati Uniti durante le presidenze di Richard Nixon e di Gerald Ford tra il 1969 e il 1977, vincendo il Nobel per la pace nel 1973. Il suo atteggiamento in politica estera potrebbe riassumersi con la massima: “Realismo sempre, distensione quando possibile, arrendevolezza fine a stessa mai”, ricordando le iniziative che portarono Nixon a visitare la Repubblica Popolare Cinese per “distendere le relazioni”, l’esercito statunitense a ritirarsi dal Vietnam e l’intervento in Cile per il golpe di Pinochet. Il 5 marzo 2014, a pochi giorni dalla caduta del presidente filorusso Yanukovich in Ucraina, Kissinger ha scritto quello che si è rivelato essere, a distanza di otto anni, un articolo estremamente attuale e a tratti profetico sulle politiche di Kiev, della Nato, dell’Unione europea e della Russia.

Riproponiamo, dunque, l’articolo integrale del Washington Post tradotto [1] in Italia da Peacelink.

La discussione pubblica sull’Ucraina è tutta imperniata sulla contrapposizione [con la Russia]. Ma sappiamo dove stiamo andando? Nella mia vita ho visto iniziare quattro guerre con grande entusiasmo e sostegno pubblico, tutte guerre che non sapevamo come finire e da tre delle quali ci siamo ritirati unilateralmente. Il test della politica è come finisce, non come inizia. Troppo spesso la questione ucraina viene presentata come una resa dei conti: se l’Ucraina si unisce all’Est o all’Ovest. Ma se l’Ucraina vuole sopravvivere e prosperare, non deve essere l’avamposto di nessuna delle due parti contro l’altra: dovrebbe fungere da ponte tra di loro. La Russia deve riconoscere che tentare di costringere l’Ucraina a diventare un satellite, e quindi spostare di nuovo i confini della Russia, condannerebbe Mosca a ripetere la sua storia di pressioni reciproche in rapporto a Europa e Stati Uniti, che si avvitano in cicli capaci di autoriprodursi senza fine. L’Occidente deve capire che, per la Russia, l’Ucraina non può mai essere un semplice paese straniero. La storia russa iniziò in quella che fu chiamata Rus di Kiev. Da lì si diffuse la religione russa. L’Ucraina è stata parte della Russia per secoli e le loro storie si sono intrecciate ancor prima di allora. Alcune delle battaglie più importanti per la libertà russa, a cominciare dalla battaglia di Poltava nel 1709, furono combattute sul suolo ucraino. La flotta del Mar Nero, lo strumento della Russia per proiettare potere nel Mediterraneo, ha sede a Sebastopoli, in Crimea, con un contratto di affitto a lungo termine. Anche famosi dissidenti come Aleksandr Solzhenitsyn e Joseph Brodsky hanno insistito sul fatto che l’Ucraina fosse parte integrante della storia russa e, in effetti, della Russia. L’Unione europea deve riconoscere che la sua dilatorietà burocratica e la subordinazione dell’elemento strategico alla politica interna nel negoziare le relazioni dell’Ucraina con l’Europa hanno contribuito a trasformare un negoziato in una crisi. La politica estera è l’arte di stabilire le priorità.

Gli ucraini sono l’elemento decisivo. Vivono in un paese con una storia complessa e una composizione poliglotta. La parte occidentale fu incorporata nell’Unione Sovietica nel 1939, quando Stalin e Hitler si divisero il bottino. La Crimea, la cui popolazione è per il 60 per cento russa, divenne parte dell’Ucraina solo nel 1954, quando Nikita Khrushchev, ucraino di nascita, gliela assegnò come parte delle celebrazioni del 300° anno di un accordo russo con i cosacchi. L’ovest è in gran parte cattolico; l’est in gran parte russo-ortodosso. L’occidente parla ucraino; l’est parla principalmente russo. Qualsiasi tentativo da parte di un’ala dell’Ucraina di dominare l’altra – come è stato finora – porterebbe alla fine alla guerra civile o alla divisione del paese. Trattare l’Ucraina come parte di un confronto est-ovest farebbe affondare per decenni qualsiasi prospettiva di portare la Russia e l’Occidente, e in particolare Russia ed Europa, in un sistema internazionale cooperativo. L’Ucraina è indipendente da soli 23 anni; in precedenza era stata sotto varie forme di dominio straniero sin dal XIV secolo. Non sorprende che i suoi leader non abbiano imparato l’arte del compromesso, tanto meno della prospettiva storica. La politica dell’Ucraina post-indipendenza dimostra chiaramente che la radice del problema risiede nei tentativi dei politici ucraini di imporre la loro volontà alle parti recalcitranti del paese, prima da parte di una fazione, poi dell’altra. Questa è l’essenza del conflitto tra Viktor Yanukovich e la sua principale rivale politica, Yulia Tymoshenko. Rappresentano le due ali dell’Ucraina e non sono stati disposti a condividere il potere. Una saggia politica degli Stati Uniti nei confronti dell’Ucraina cercherebbe di fare in modo che le due parti del paese cooperino tra loro. Dovremmo cercare la riconciliazione, non il dominio di una fazione.

La Russia e l’Occidente, e meno di tutte le varie fazioni in Ucraina, non hanno agito secondo questo principio. Ognuno ha peggiorato la situazione. La Russia non sarebbe in grado di imporre una soluzione militare senza isolarsi in un momento in cui molti dei suoi confini sono già precari. Per l’Occidente, la demonizzazione di Vladimir Putin non è una politica; è un alibi per l’assenza di una politica. Putin dovrebbe rendersi conto che, quali che siano i torti che lamenta, una politica di imposizioni militari produrrebbe un’altra Guerra Fredda. Da parte loro, gli Stati Uniti devono evitare di trattare la Russia come un soggetto aberrante a cui insegnare pazientemente le regole di condotta stabilite da Washington. Putin è uno stratega serio, nei termini della storia russa. Comprendere i valori e la psicologia degli Stati Uniti non è il suo forte. Né la comprensione della storia e della psicologia russe è stata un punto di forza dei politici statunitensi. I leader di tutte le parti dovrebbero tornare a esaminare i risultati possibili, non prendere atteggiamenti competitivi. Questa è la mia idea di un risultato compatibile con i valori e gli interessi di sicurezza di tutte le parti:

  1. L’Ucraina dovrebbe avere il diritto di scegliere liberamente le sue associazioni economiche e politiche, anche con l’Europa.
  2. L’Ucraina non dovrebbe aderire alla NATO, una posizione che ho preso sette anni fa, l’ultima volta che si pose la questione.
  3. L’Ucraina dovrebbe essere libera di creare qualsiasi governo compatibile con la volontà espressa dal suo popolo. Fossero saggi, i leader ucraini opterebbero quindi per una politica di riconciliazione tra le varie parti del loro paese. A livello internazionale, dovrebbero perseguire un atteggiamento paragonabile a quello della Finlandia. Quella nazione non lascia dubbi sulla sua fiera indipendenza e coopera con l’Occidente nella maggior parte dei campi, ma evita accuratamente l’ostilità istituzionale nei confronti della Russia.
  4. L’annessione della Crimea da parte della Russia è incompatibile con le regole dell’ordine mondiale esistente. Ma dovrebbe essere possibile porre le relazioni della Crimea con l’Ucraina su basi meno problematiche. A tal fine, la Russia riconoscerebbe la sovranità dell’Ucraina sulla Crimea. L’Ucraina dovrebbe rafforzare l’autonomia della Crimea nelle elezioni che si terranno alla presenza di osservatori internazionali. Il processo includerebbe la rimozione di qualsiasi ambiguità sullo stato della flotta del Mar Nero a Sebastopoli.

Questi sono principi, non prescrizioni. Le persone che hanno familiarità con la regione sapranno che non tutti saranno appetibili a tutte le parti. L’obiettivo non può essere la soddisfazione assoluta, ma una equilibrata insoddisfazione. Se non si raggiunge una soluzione basata su questi o altri elementi comparabili, la deriva verso lo scontro è destinata a precipitare. Il momento arriverà abbastanza presto.

[Di Salvatore Toscano]