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Il ritorno dei lupi in Italia: sono 3.300 mai così tanti dagli anni Settanta

Dopo due anni si è concluso il primo monitoraggio nazionale sulla presenza del lupo in Italia. Le stime elaborate dall’Istituto nazionale per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra [1]) confermano una tendenza di crescita dell’animale lungo tutto lo Stivale, con 3.300 esemplari. Il dato ottenuto arriva dopo un meticoloso lavoro, condotto durante la pandemia, che ha impegnato oltre 3mila persone – volontari, personale di parchi nazionali e regionali, università, musei, associazioni nazionali e locali, 504 reparti dei Comando Unità Forestali Ambientali e Agroalimentari (Cufaa) dell’Arma dei Carabinieri – da Nord a Sud.

Per l’indagine sono stati scandagliati 85mila chilometri, e la presenza del lupo è stata documentata da 6520 avvistamenti fotografici con fototrappole, 491 carcasse di ungulato predate, 1310 tracce, 171 lupi morti e 16mila escrementi. Per identificare effettivamente la specie e ottenere così la conferma assoluta di quanto rinvenuto sul territorio, sono state condotte 1500 analisi genetiche con tecniche specifiche, i cui risultati sono stati analizzati con i più recenti modelli statistici prodotti dalla comunità scientifica. Il monitoraggio è stato condotto suddividendo in celle di 10 per 10 chilometri il territorio (ne sono state selezionate mille), e conducendo due analisi differenti, una per le regioni/province autonome della zona alpina, e una per le regioni dell’Italia peninsulare. Stando ai risultati, sulle Alpi è avvenuto l’aumento più significativo, con un numero di lupi stimato intorno ai 950 (2400 sono distribuiti lungo il resto della penisola). 

Fin dagli anni Cinquanta il lupo ha sempre diviso l’opinione pubblica, tra chi accettava la sua presenza e chi invece no. Difatti, le cause della diminuzione del lupo in Italia sono state principalmente due: l’ibridazione con il cane, che ha messo seriamente a rischio il patrimonio genetico della specie, e il conflitto con gli allevatori (bracconaggio). La svolta per il recupero dell’animale si ebbe negli anni Settanta, quando si contarono solo un centinaio di esemplari sul territorio, con l’approvazione del decreto ministeriale Natali [2] (1971). Questo ha spianato la strada per l’inserimento del carnivoro nelle specie protette (1976), oltre ad averne vietato la caccia e l’avvelenamento. Così, negli ultimi anni, il lupo è ritornato a popolare le nostre terre, riproducendosi in maniera del tutto naturale e spontanea, senza interventi di reintroduzione da parte dell’uomo. Il carnivoro è quindi sotto la tutela dello Stato, poiché considerato elemento indispensabile dell’ecosistema cui appartiene e, dato che la convivenza con l’uomo non è affatto semplice, nell’esercizio della tutela, lo Stato riconosce [3] ad allevatori e aziende gli indennizzi per le predazioni subite a causa dell’animale.

Ma i risarcimenti da soli non sono mai bastati, poiché non riducono gli attacchi del predatore. Pertanto, nel corso degli anni, si è puntato molto sulla prevenzione, con la messa in sicurezza degli allevamenti grazie a recinzioni sofisticate e cani da pastori certificati. Dinamiche che, di conseguenza, hanno contrastato il bracconaggio, la caccia e gli avvelenamenti. Significativo è stato anche l’aumento delle prede, quali cinghiali, caprioli e cervi che, oltre a distogliere l’attenzione del lupo dagli animali al pascolo, ha contribuito a salvare la specie. Infine, sono state attuate delle vere e proprie campagne di informazione da associazioni e attivisti, specialmente in quelle zone in cui il lupo é ricomparso dopo tanto tempo, al fine di aumentare la consapevolezza e l’accettazione nei cittadini.

[di Eugenia Greco]