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In Iran l’aumento dei prezzi del cibo ha scatenato rivolte contro il governo

In tutto l’Iran si sono diffuse violente proteste per l’aumento dei prezzi degli alimenti la settimana scorsa, dopo che il governo ha annunciato il taglio dei sussidi statali per il grano importato causando un aumento di prezzi dei prodotti a base di farina fino al 300%. Anche i prodotti di prima necessità, tra i quali l’olio da cucina e i prodotti caseari, hanno subito importanti innalzamenti di prezzo. Nonostante il governo abbia dichiarato il ritorno a una situazione tranquilla, su Twitter sono decine i video e le immagini che attestano le numerose manifestazioni e la repressione delle forze di polizia.

Le proteste proseguono senza sosta, allargandosi a macchia d’olio in tutto il Paese: sarebbero almeno 40 [1] le città coinvolte durante il solo weekend, secondo quanto riporta Reuters. Almeno 6 manifestanti [2] sarebbero stati uccisi dall’inizio delle proteste, secondo quanto emerso dai social media e dalle dichiarazioni di fonti locali. Tra queste, l’agenzia di stampa semi-ufficiale ILNA ha riportato [3] l’uccisione di una persona nella città di Dezful, nella provincia del Khuzestan, zona ricca di petrolio. I media statali hanno fatto sapere che le forze di sicurezza hanno disperso almeno 300 persone nella città di Dezful, mentre almeno 15 sono state arrestate nella serata di giovedì 12 maggio. Le autorità non avrebbero ancora confermato né smentito il numero delle vittime.

Dall’inizio delle proteste sono state registrate numerose interruzioni della linea Internet locale, in quello che alcuni ritengono sia stato un tentativo governativo di impedire l’organizzazione di manifestazioni e la condivisione di immagini online. L’osservatorio NetBlocks, che monitora malfunzionamenti e interruzioni della normale attività della rete, ha registrato numerose interruzioni del servizio in Iran nella settimana passata, commentando che “il rallentamento del servizio potrebbe limitare la libera circolazione delle informazioni durante le proteste”.

Scatenate dall’incontrollato e repentino aumento dei prezzi dei generi alimentari in un Paese dove quasi la metà degli 85 milioni di abitanti vive sotto la soglia della povertà, le proteste hanno presto assunto una connotazione marcatamente politica. I cittadini chiedono infatti una maggiore libertà politica e la fine della Repubblica islamica e dei suoi leader. Sono numerosi i video che mostrano i manifestanti bruciare le foto della massima autorità iraniana, la Guida Suprema Ayatollah Ali Khamenei, per chiedere invece il ritorno dell’esiliato Reza Pahlavi, figlio dello Scià d’Iran.

Negli ultimi anni, in Iran, i cittadini “hanno sfruttato ogni opportunità disponibile per segnalare la loro insoddisfazione e il loro malcontento nei confronti del regime che li governa” ha dichiarato ad Al-Arabiya Behnam Ben Taleblu, del think-tank statunitense Foundation for Defense of Democracies. Nel 2019 le rivolte scatenate dall’aumento dei prezzi del carburante hanno presto assunto toni di contestazione politica, scatenando la più violenta repressione in quarant’anni di storia della Repubblica islamica. In quell’occasione Reuters aveva riportato la morte di 1500 persone e Amnesty di oltre 300, dati sempre negati dalle autorità.

I disordini attuali contribuiscono ad aggiungere una notevole pressione sul governo iraniano, che lotta per mantenere a galla un’economia paralizzata dalle sanzioni imposte da Washington nel 2018 quando gli Stati Uniti hanno abbandonato l’accordo di Teheran sul nucleare del 2015. Sono stati fatti dei tentativi per rilanciare il patto, ma i colloqui sono in stallo dallo scorso marzo.

[di Valeria Casolaro]