- L'INDIPENDENTE - https://www.lindipendente.online -

Un caso di cronaca rivela l’ipocrisia del “Chiudo perché non trovo dipendenti”

Negli ultimi mesi hanno trovato spazio su gran parte dei giornali italiani le storie di decine di datori di lavoro impegnati in una “faticosa ricerca di dipendenti”. Nei giorni scorsi, il Corriere Torino ha dedicato [1] un articolo a Maurizio Rostagno, ristoratore proprietario de L’Acciuga Bistrot, costretto a chiudere “temporaneamente l’attività dopo soli sei mesi di apertura” perché non in grado di trovare dipendenti nonostante gli annunci. Alcune testimonianze hanno rivelato però una storia di licenziamenti non volontari legati all’altro ristorante di proprietà dell’imprenditore, Le Fanfaron Bistrot, causati dalla “riorganizzazione” e dal calo del fatturato del locale.

Nei commenti è emersa l’altra faccia della medaglia di questa storia: i lavoratori. Uno di questi ha raccontato di aver inviato il curriculum in risposta a un annuncio di Le Fanfaron Bistrot per la mansione di capo partita ai primi di cucina piemontese. Dopo una settimana di prova passata invece a lavorare il pesce, gli è stata affidata la gestione del Bistrot, con il compito di ricoprire più ruoli, dalla pulizia dei piatti alla preparazione del menù. Se, da un lato, la paga si è rivelata essere coerente con quanto dichiarato (comprensiva tuttavia degli istituti contrattuali come, ad esempio, Tfr, tredicesima e quattordicesima), dall’altro, sono state necessarie più ore di lavoro e la copertura di diverse mansioni. Infine, la sera del Primo Maggio, dopo un turno di nove ore e mezza il dipendente è stato licenziato per via di alcuni lavori imminenti del locale, che avrebbero reso superfluo il suo lavoro.

Ciò che è successo a Torino non è un caso isolato, ma una realtà radicata nel nostro paese, dove fanno eco le dichiarazioni dello chef (e figlio dell’attrice Barbara Bouchet e dell’imprenditore Luigi Borghese) Alessandro Borghese in cui ha affermato: «A me nessuno ha mai regalato nulla. Mi sono spaccato la schiena, questo lavoro è fatto di sacrifici, abnegazione. Invece oggi i ragazzi preferiscono tenersi stretto il weekend con gli amici», alimentando dunque il mito della “schiena rotta” necessaria a costruirsi un futuro che poi si sgretola di fronte ai casi di cronaca e alla logica di un lavoro “giusto”, caratterizzato da limiti, che siano di competenza o temporali, da non oltrepassare. In tanti hanno attribuito negli ultimi anni la mancanza di copertura da parte dell’offerta nei confronti della domanda alle più disparate cause, una su tutte il reddito di cittadinanza, “colpevole” di aver reso la forza lavoro, e in particolare i giovani, pigra e “poco incline al sacrificio”. Ieri, Matteo Renzi sui suoi profili social ha scritto: “Mancano 350.000 addetti per la stagione. Il ministero del turismo (leghista!) propone un decreto flussi per coprire con i migranti i posti di lavoro. Inutile girarci intorno: il reddito di cittadinanza è una follia“.

Nei sistemi democratici, uno dei modi per inserire e legittimare un punto all’interno di una qualsiasi agenda politica è la pressione mediatica. È ciò che sta accadendo negli ultimi mesi attraverso articoli, testimonianze e dichiarazioni di persone coinvolte in diversi settori (specialmente quello della ristorazione) o parte del sistema politico che si prepara alle elezioni parlamentari del 2023. Si preannuncia dunque un dibattito incentrato sulla presenza, e resistenza, di una “forza lavoro pigra” che semplifica un problema che meriterebbe un’analisi accurata piuttosto che dichiarazioni a effetto per colpire l’elettorato.

[Di Salvatore Toscano]