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Roma verso l’abbattimento dei cinghiali con la scusa della peste suina

Nelle prossime ore il via libera da parte delle istituzioni agli abbattimenti selettivi dei cinghiali a Roma potrebbe diventare realtà: su questa strada stanno infatti spingendo con decisione le autorità regionali e il sottosegretario alla Salute Andrea Costa. Il tema va avanti da tempo, con i numerosi casi di cinghiali avvistati tra le strade della capitale. Nelle ultime settimane i casi di “peste suina” paiono però aver convinto gli amministratori a rompere gli indugi, nella convinzione che il rischio sanitario possa servire a rompere le resistenze delle associazioni animaliste e di tanti cittadini contrari agli abbattimenti. Già oggi il sottosegretario Costa potrebbe firmare l’ordinanza che prevede [1] la redazione di un «piano per l’eradicazione del virus» avente ad oggetto «l’abbattimento selettivo dei cinghiali sul nostro territorio».

I casi [2] di peste suina registrati finora a Roma sono 6, con l’epicentro del focolaio individuato nella Riserva naturale dell’Insugherata. Il pretesto sufficiente per convincere la Regione ad andare in pressing sul commissario straordinario alla peste suina, Angelo Ferrari, a cui negli scorsi giorni l’assessore alla sanità Alessio D’Amato ha chiesto [3] interventi “rapidi e risolutivi”. Obbiettivo, non solo le misure di contenimento, ma anche l’abbattimento dei capi. D’altra parte lo stesso sottosegretario Costa ha ammesso che gli abbattimenti non sarebbero solo a causa del pericolo peste: «Oggi la densità dei cinghiali in alcune zone d’Italia è almeno 5 volte superiore rispetto alla sopportabilità dell’ecosistema e, al di là del fattore contingente della peste suina, resto convinto e lo voglio ribadire con forza, pur rispettando le sensibilità degli animalisti, che questa è un’emergenza dinanzi alla quale occorre prevedere il prolungamento dell’attività venatoria da 3 a 5 mesi e la possibilità alle regioni di rideterminare le quote». Inoltre, a rischiare di essere uccisi, potrebbero essere non solo i cinghiali della Capitale ma anche quelli di altre zone d’Italia, a causa della loro massiccia presenza.

La drastica soluzione prospettata da Costa ha messo sulle barricate tanti cittadini e le associazioni animaliste, che stanno cercando nuovamente di fermare gli abbattimenti nel Lazio dopo aver già provato ad impedire, senza riuscita, le uccisioni dei cinghiali in Piemonte e Liguria, dove negli scorsi mesi è stato disposto [4] l’abbattimento anche dei cinghiali e suini ospiti dei rifugi. Una petizione [5] lanciata da 36 associazioni proprio per tale motivo e sottoscritta da più di 40mila persone, è stata adesso inviata alla Regione Lazio nella speranza che questa volta tale azione porti a dei risultati. “A suo tempo avevamo inviato un appello alla Regione Liguria e alla Regione Piemonte, e allo stesso Angelo Ferrari, di fermare le uccisioni dei cinghiali in quelle regioni, ma non siamo stati ascoltati. Ora abbiamo rifatto la medesima richiesta alla Regione Lazio inviando 40.428 firme della petizione che abbiamo aperto contro la mattanza di suini e cinghiali, perché uccidere gli animali non può essere il modo di risolvere i problemi”, affermano le associazioni Meta Parma e Avi Parma, ricordando altresì che “la caccia è stata ritenuta possibile causa di diffusione per il virus Psa (peste suina africana), anche perché spaventerebbe gli animali spingendoli a scappare e a spostarsi altrove diffondendo un eventuale contagio”.

A contestare tale modus operandi è anche l’Oipa (Organizzazione internazionale protezione animali), la quale si oppone alle uccisioni suggerendo di attuare un “monitoraggio sanitario degli animali morti che si trovino nel territorio nazionale”. Non solo infatti l’Oipa ricorda che – come confermato da un parere [6] chiesto agli esperti dall’Autorità europea per la sicurezza alimentare (Efsa) – “la caccia non è uno strumento efficace per ridurre le dimensioni della popolazione di cinghiali selvatici in Europa”, ma altresì che “i cacciatori, con le loro prassi di eviscerazione, possono diffondere in maniera incontrollata il virus della Psa, innocuo per l’uomo, e degli altri agenti patogeni di cui le prede potrebbero essere portatrici”. «A Roma il problema sono i rifiuti, non i cinghiali», afferma inoltre la delegata dell’Oipa di Roma Rita Corboli, sottolineando che «i cinghiali sono sempre gli stessi, ma negli ultimi anni sono aumentati i rifiuti e le discariche a cielo aperto e quindi la disponibilità di cibo nelle vicinanze delle aree verdi dove vivono». Se da un lato, infatti, a Roma il primo caso di Psa è stato registrato lo scorso 5 maggio, dall’altro l’invasione di tali animali è un problema presente da diversi anni. Già nel 2015, infatti, in Italia si parlava di “allarme cinghiali” [7] a Roma Nord: un allarme che, a quanto pare, è divenuto ormai ordinario.

[di Raffaele De Luca]