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Recensioni indipendenti: Coronation, il documentario che nessuna piattaforma trasmette

Musica cupa e suggestive riprese aeree su l’enorme stazione della città di Wuhan, deserta e come congelata, sospesa in un tempo senza fine. Inizia così Coronation, un film documentario del poliedrico artista cinese dissidente Ai Weiwei ritenuto politicamente scomodo dal governo cinese ed esiliato in Europa. Grazie alle riprese fatte da amici e comuni cittadini di Wuhan, il film documenta il primo lockdown di massa della storia, avvenuto nella città cinese il 23 gennaio 2020, solo un mese dopo il primo caso dichiarato di Covid-19 dato che il governo cinese aveva fermamente negato che si verificassero infezioni da uomo a uomo, mantenendo segreto il numero dei contagiati e punendo i medici che diffondevano informazioni sull’epidemia.

Immagini di innegabile realtà evidenziano il rigido controllo esercitato su 60 milioni di persone della provincia di Hubei di cui 11 nella sola città di Wuhan e raccontano la storia della popolazione, della loro vita e della reclusione forzata al culmine della pandemia di coronavirus. 113 minuti lenti e terribili fatti di suoni e rumori, luci, tergicristalli che sbattono in attesa ai continui posti di blocco, controlli, poche parole, ospedali, lunghi e interminabili corridoi, camere e anticamere, videosorveglianza sul controllo della meticolosa vestizione e disinfezione di medici e infermieri. Riprese interminabili mentre una coltre di neve seppellisce una città dall’aspetto apocalittico. Con le strade deserte, le sirene delle ambulanze, l’ansia che attanaglia i reparti di terapia intensiva, la frustrazione e la rabbia di persone costrette a rimanere nelle loro case spesso troppo piccole.

I video girati da decine di volontari ci portano nel cuore straziato della città, ma grazie alla regia e al sapiente montaggio di Ai Weiwei, emerge con tutta la sua forza una veemente critica al governo e all‘autorità del regime totalitario di Pechino. Coronation è certo il primo documentario che ci mostra quanto, brutalmente, ma efficacemente, l’incredibile macchina statale cinese sia in grado di esercitare il suo potere sulla vita dei cittadini anche con la continua presenza della propaganda di partito. Attraverso le potenti immagini l’artista pone la questione se la sottomissione debba essere il prezzo della protezione in un frangente storico in cui le libertà personali e la sicurezza pubblica sembrano opposte piuttosto che complementari. La città è piena di telecamere, il governo è in grado di tracciare i movimenti delle persone in qualsiasi momento.

Ai Weiwei così definisce ciò che accade nel suo paese «sorveglianza, lavaggio del cervello ideologico e determinazione brutale a controllare ogni aspetto della società». Il risultato è nessun rispetto per l’individuo, e una popolazione più povera di fiducia. Coronation, e un film che tutti dovrebbero vedere, definito da molti crudo e drammatico, è disponibile solo su Vimeo On Demand [1], non è stato accolto alla Mostra del Cinema di Venezia o ad altri festival internazionali. Al momento né Amazon né Netflix hanno presentato il documentario sulle loro piattaforme. Ai Weiwei afferma di essere stato boicottato perché «nessuno vuole far arrabbiare la Cina».

[di Federico Mels Colloredo]