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Una giornalista di Al Jazeera è stata uccisa dai soldati israeliani in Palestina

Ieri 11 maggio, Shereen Abu Aqleh giornalista per Al Jazeera con cittadinanza palestinese e americana, è stata uccisa [1] mentre seguiva un’incursione israeliana nel campo rifugiati di Jenin, in Cisgiordania. Secondo il ministero della salute palestinese, sarebbero state le forze israeliane a spararle a sangue freddo [2]proprio lì, fra la testa e le spalle, dove né il casco né il giubbotto antiproiettile possono salvare la vita. Tutte le testimonianze raccolte sul campo raccontano la stessa scena e individuano il medesimo responsabile (un soldato israeliano), tuttavia Israele nega e il grosso dei media italiani ed occidentali in genere riportano la notizia omettendo l’autore del gesto.

I fatti si sarebbero svolti in questo modo secondo Al Jazeera, che riporta la testimonianza di alcune persone che erano lì con la giornalista: una volta arrivati sul luogo, i reporter – tutti dotati di elmetto e giubbotto antiproiettile con su scritto “PRESS”, sono stati immediatamente assaliti dai cecchini israeliani, appostati nei dintorni. Questi, una volta colpita e uccisa Abu Akleh, avrebbero continuato a sparare ferendo altri giornalisti, tra cui Shatha Hanaysha, che era accanto alla corrispondente di Al Jazeera.  I testimoni hanno inoltre riferito che non c’erano conflitti a fuoco in quel momento e che quindi il gruppo di giornalisti era stato preso di mira di proposito.

«Eravamo quattro giornalisti, indossavamo tutti giubbotti, tutti indossavamo caschi. L’esercito di occupazione [israeliano] non ha smesso di sparare anche dopo che è crollata. Non potevo nemmeno allungare il braccio per tirarla a causa dei colpi sparati. L’esercito è stato irremovibile nel sparare per uccidere», ha riferito Hanaysha.

Israele ha risposto alle accuse sostenendo che invece sarebbe stata una milizia palestinese ad aprire il fuoco contro le forze israeliane e che in questo scontro sarebbero stati coinvolti i giornalisti. A sostegno di questo, a dire del paese, ci sarebbe un video che però secondo l’esperto di geolocalizzazione Samir Harb riprende un posto diverso rispetto a quello della morte della giornalista.

Il primo ministro palestinese Mahmūd Abbās ha invece sostenuto la «piena responsabilità» di Israele nell’omicidio della “voce della Palestina” uccisa «dalla mostruosità del colonialismo e dell’occupazione di Israele»: è così che la parlamentare palestinese Khalida Jarrar ha definito Abu Akleh, in servizio per amore della verità da più di vent’anni.

Nel dare la notizia i giornali italiani ci sono andati molto cauti. Non c’è da sorprendersi visti i rapporti commerciali e di amicizia che storicamente legano Israele al nostro paese. “Le relazioni con l’Italia sono eccellenti, anche sul Covid. Ma collaboriamo in diversi settori. Nel campo della sicurezza e dell’intelligence, nella sfera del cyber, tra gli eserciti” aveva detto in un’intervista Dror Eydar, ambasciatore israeliano a Roma. Molti articoli hanno riferito dell’episodio raccontandolo come “un’operazione dell’esercito israeliano”: è difficile reputarlo tale dal momento che anche le Nazioni Unite hanno confermato [9] che ogni mese i territori occupati della West Bank subiscono oltre 200 violazioni del domicilio per mano dei soldati israeliani. Si tratta di pratiche illegittime, e spesso violente e che poco hanno a che vedere con “un’operazione militare”.

La comunità internazionale ha chiesto di avviare un’inchiesta approfondita per far luce sulla morte di Shireen Abu Akleh ed evitare che questa resti impunita, come è successo molte altre volte. Per questo è importante, ad esempio, che l’indagine non sia affidata unicamente all’esercito israeliano, soprattutto perché la Cisgiordania subisce un incremento della violenza da parte degli israeliani ormai da molti mesi.

Prima di concludere, ricordiamo che la giornalista non è la prima vittima delle truppe israeliane. Per citarne solo alcuni: Simone Camilli, ucciso dall’esplosione di un ordigno in Palestina, dove si trovava per raccontare la guerra tra Hamas ed Israele. Fadel Shana’a, cameraman ucciso dallo sparo di un carro armato israeliano e Yaser Murtaja, freddato da un cecchino durante le proteste a Gaza nel 2018.

[di Gloria Ferrari]