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La battaglia per la sopravvivenza di Telejato, la televisione antimafia

In questi giorni è circolata la notizia della chiusura di Telejato, storica emittente siciliana che dalla sua fondazione si occupa di denunciare l’attività dei gruppi mafiosi attivi in quella zona della provincia di Palermo che il conduttore Pino Maniaci ha definito “il Triangolo delle Bermuda”. La causa della teorica cessazione dell’attività sono gli altissimi costi imposti dallo Stato italiano per il passaggio al nuovo digitale terreste. Tuttavia, quando lo abbiamo raggiunto al telefono, Maniaci ha dipinto un quadro ben diverso: ben lungi dall’avere intenzione di chiudere, l’emittente sta cercando un modo di reinventarsi per sopravvivere alle sfide imposte dallo Stato.

Fondata nel 1989 da Alberto Lo Iacono e rilevata nel 1999 da Pino Maniaci, allora imprenditore edile, Telejato è un’emittente televisiva che da oltre trent’anni è impegnata nella diffusione di informazione contro l’attività della criminalità organizzata. La zona in cui trasmetteva, racchiusa tra i comuni di Alcamo, Partinico, Castellammare del Golfo, San Giuseppe Jato, Corleone, Cinisi e Montelepre, è infatti caratterizzata da una forte presenza mafiosa. Maniaci stesso ha ricevuto [1] negli anni innumerevoli minacce e subito aggressioni e azioni intimidatorie per la sua attività di giornalista, che non lo hanno tuttavia dissuaso dal proseguire con il suo mestiere. Tra i propri collaboratori la testata può contare su alcuni nomi eccellenti come quello di Salvo Vitale, ex conduttore di Radio Aut al fianco di Peppino Impastato. La sfida ultima all’emittente che vuole contrastare la mafia la pone, incredibilmente, lo Stato.

«Alcune informazioni circolate in questi giorni sono quantomeno fuorvianti: Telejato chiude nel senso che spegne gli impianti, come hanno fatto tutte le televisioni che avevano ancora impianti, per via del passaggio al nuovo digitale terrestre» tiene a precisare Pino Maniaci. Tuttavia, spiega, Telejato non è nemmeno approdata alla graduatoria per il nuovo digitale terrestre, perché «la prima cosa che lo Stato chiede per valutare la domanda è una stabilità economica che noi non abbiamo avuto e non siamo in grado di dimostrare. Per pagare il gestore che veicolerebbe il nostro segnale sono infatti necessari 40 mila euro all’anno». Mensilmente, la tassa avrebbe un valore di circa 3500 euro: «è una cifra che noi vediamo ogni due mesi e con la quale dobbiamo pagare anche le spese come l’affitto della redazione». Va tenuto poi conto del fatto che Telejato è una rete comunitaria: a differenza di quelle commerciali può trasmettere pochissima pubblicità, appena tre minuti ogni ora, differenza che impatta profondamente sul bilancio finale dell’emittente.

La problematica non riguarda, evidentemente, solamente Telejato, ma tutte le piccole realtà simili in Italia. «Il problema riguarda sia le reti comunitarie che quelle commerciali, perché con il passaggio al nuovo digitale sono stati resi disponibili un numero preciso di spazi per ogni emittente, quindi ci sono televisioni che pur avendo effettuato il passaggio sono rimaste comunque fuori, e realtà che non vi sono proprio approdate per una questione economica. Questa è la strage dell’art. 21 della Costituzione e del concetto di Repubblica fondata sul lavoro, perché in questo modo centinaia di giornalisti, montatori, operatori televisivi hanno perso il posto e nessuno se ne è interessato». A rendere ancora più complicata la situazione, spiega Maniaci, è il breve preavviso con il quale si è venuto a sapere del pagamento della tassa. «Noi lo abbiamo saputo circa 15 giorni fa, non di più. Se lo avessimo saputo prima, per esempio nello stipulare il contratto da qui all’anno prossimo, avremmo cercato di organizzarci, facendo pagare di più la pubblicità o operando in modo più parsimonioso. Venendolo a sapere così, all’improvviso, non abbiamo avuto modo di poterlo fare».

Per rimediare temporaneamente al problema Telejato ha lanciato una raccolta fondi, per mettere insieme la cifra necessaria per pagare il primo anno di tasse, mentre cerca di espandere i propri canali. «Abbiamo potenziato i social, abbiamo aperto il sito telejato.it, in Sicilia per chi ha la smart tv abbiamo un canale on demand che trasmette Telejato 24 ore su 24, il canale 83 di Palermo permette il passaggio di tre edizioni del nostro telegiornale… ci siamo moltiplicati, non fermati. Sta passando il messaggio sbagliato: noi non siamo spenti, noi stiamo annaspando». E aggiunge, con determinazione: «Noi non abbiamo intenzione di fermarci: non lo ha fatto la mafia, non lo farà nemmeno lo Stato».

[di Valeria Casolaro]