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La svolta di Fratelli d’Italia: giurare fedeltà agli Usa per provare a governare

Giorgia Meloni è, al momento, la regina dei sondaggi [1]. Il suo partito, Fratelli d’Italia (Fdi), si attesta al 22,1%, staccando di mezzo punto il Pd, principale forza politica dello schieramento avverso, e di oltre 5 punti la Lega di Matteo Salvini, alleato-concorrente all’interno del centro-destra. A cavallo tra fine aprile e inizio maggio è andata in scena la convention [2] milanese di Fdi dal titolo “Italia, energia da liberare”, in cui la Meloni si è ufficialmente presentata agli elettori come aspirante leader della coalizione, manifestando apertamente la sua ambizione di staccare il biglietto per la guida il prossimo esecutivo e puntando evidentemente a rassicurare anche i possibili scettici che siedono a Washington.

Mentre l’obiettivo si fa sempre più concreto, infatti, la leader di Fdi ha voluto apertamente lanciare importanti segnali ai “timonieri” della Nato, tranquillizzando i nostri potenti alleati sullo stampo che imprimerà al Paese quando (e se) sarà chiamata a governare. Dal palco del Milano Convention Centre, sull’Alleanza Atlantica la Meloni è stata infatti molto chiara, sottolineando che «la Destra è lì, salda, dal Dopoguerra». In merito al tema del riarmo e del conflitto russo-ucraino, la Meloni gioca la sua partita pro-Nato su un escamotage retorico, collegando il sentimento patriottico-nazionalista di cui si fa portavoce alla scelta di condividere l’azione del Governo Draghi sulle sanzioni alla Russia e sull’invio delle armi all’Ucraina. Dal palco, ha infatti “picconato” le varie anime del movimento pacifista: «Noi lo capiamo, altri che dicono che gli ucraini debbano arrendersi non lo capiscono. Non lo capiscono le sardine, l’ANPI, chi sventola bandiere della pace».

Mentre l’azione politica di un Salvini sempre più spaesato appare circoscritta al limbo (elettoralmente mortale) riservato a chi, mentre partecipa a un Esecutivo fortemente elitario, cerca goffamente l’appoggio di succulente fette di elettorato anti-establishment (che infatti, dopo averlo premiato nel 2018, ora migrano verso altri lidi), la Meloni gioca la sua partita in maniera efficace, mascherando il suo atlantismo di ferro dietro ai più classici schemi retorici e sentimentali del populismo di destra. «Noi siamo molto più europeisti di molti soloni di Bruxelles. – ha detto dal palco della convention -. Da sempre rivendichiamo che la Nato sia composta di due colonne, una americana e una europea, con pari dignità. Per questo Fratelli d’Italia ha da sempre nel suo programma l’aumento delle spese militari, è il costo della libertà. Vogliamo essere alleati, non sudditi, ma essere alleati e non sudditi ha un costo”. Un colpo al cerchio e uno alla botte, dunque: l’Europa rinasca come “continente delle nazioni”, ideologicamente più conservatore e militarmente più “armato” (attacco alle élite tecnocratiche sovranazionali e al mondialismo, in nome di un sovranismo europeo), ma, al contempo, si giuri fedeltà eterna all’influenza Usa, smarcandosi da un’ottica multilaterale di dialogo con le potenze dell’Est (e quindi rassicurazione a quelle stesse élite attaccate in precedenza). Un gioco di prestigio che mira evidentemente a non perdere la presa sugli elettori mentre si inviano rassicurazioni al potente alleato.

Insomma, da quando ha (argutamente) scelto di non entrare nell’esecutivo guidato da Draghi, il partito della Meloni trae benefici e consenso da una posizione privilegiata: quella di chi si presenta formalmente come opposizione dura e pura alla “ammucchiata” governativa (formula vincente, come si evince mettendo a confronto la risalita di Fdi con il tonfo nei consensi della Lega), ma che incanala fluidamente il suo viaggio alla conquista di Palazzo Chigi sui binari geopolitici tracciati dall’asse Italia-Usa, preparandosi all’appuntamento dando pieno supporto al nostro attuale governo filo-atlantista nelle più importanti scelte strategiche di politica internazionale. Una posizione resa ancora più credibile dai consolidati legami della Meloni con l’universo conservatore statunitense e dalla scelta della leader di Fdi di non sedersi al fianco della Le Pen e di altri gruppi della destra “sovranista” nel Parlamento Europeo, ma al contrario di confluire nel gruppo dei Conservatori riformisti.

Per unire organicamente i puntini, basta leggere il contenuto del documento [3] lanciato da Fdi in occasione della sua conferenza programmatica, intitolato “Appunti per un programma conservatore”. “La nostra attiva partecipazione nella Nato è più necessaria che mai – si legge a pagina 32 -. La crisi ucraina ha riportato in primo piano l’importanza della difesa collettiva, ma ha anche sbilanciato gli interessi dell’Alleanza verso Est. Ciò è naturale, ma il fianco sud presenta anch’esso alti profili di rischio d’instabilità. L’Italia dovrà pertanto mantenere una posizione ferma ed equilibrata in ambito alleato sulla Russia”. Nel paragrafo successivo, viene scritto che “L’Europa della difesa non ha la pretesa di porsi in contrapposizione o in alternativa all’Alleanza Atlantica. Ue e Nato sono organizzazioni tra loro diverse ma perfettamente complementari; un’Europa più forte rende la Nato più forte […] evitando di far gravare la sicurezza dei nostri Paesi quasi esclusivamente sulle spalle dello storico alleato americano, con tutte le limitazioni politiche che ne conseguono” […] L’Italia dovrà mantenere un credibile strumento militare nazionale per partecipare a pieno titolo alla costruzione della difesa europea, tramite il raggiungimento del 2% del PIL in spesa per la Difesa”. Più chiaro di così…

[Stefano Baudino]