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Osman Kavala è stato condannato all’ergastolo per essersi opposto al governo di Erdogan

Con una sentenza di un tribunale di Istanbul emessa il 25 aprile, il filantropo e attivista turco Osman Kavala è stato condannato all’ergastolo con l’accusa di aver tentato di rovesciare il governo di Erdogan finanziando le proteste di massa che avevano avuto luogo nel parco di Gezi a Istanbul nel 2013. Altri 7 coimputati (Mücella Yapıcı, Çiğdem Mater, Hakan Altınay, Mine Özerden, Can Atalay, Tayfun Kahraman e Yiğit Ali Ekmekçi), accusati di aver collaborato con lui, sono stati condannati a 18 anni di carcere. Secondo la Corte europea dei diritti dell’uomo (CEDU) e numerose organizzazioni internazionali, tra le quali Amnesty International, le accuse contro Kavala sono del tutto prive di fondamento e indirizzate, piuttosto, a reprimere il dissenso e costituire un deterrente per chiunque voglia opporsi al potere nella Turchia di Erdogan.

Osman Kavala, 64 anni, è un uomo d’affari di origini turche che nella sua vita ha contribuito alla fondazione [1] di numerose organizzazioni non governative e movimenti della società civile impegnati nella difesa dei diritti umani, della cultura, della protezione dell’ambiente e degli studi sociali. Kavala si trovava in regime di detenzione preventiva da oltre 4 anni. Nell’ottobre 2017 era stato infatti arrestato con l’accusa di “tentativo di rovesciare l’ordine costituzionale” e “tentativo di rovesciare il governo della Repubblica e impedirgli di svolgere i suoi compiti”.

Le accuse si riferivano alla supposta attività di finanziamento da parte di Kavala delle proteste che avevano avuto luogo al parco di Gezi di Istanbul nella primavera del 2013. Durante quel periodo la Turchia era stata infatti travolta da una potente ondata di dissenso [2] contro il governo del partito conservatore AKP (il Partito della Giustizia e dello Sviluppo), il cui leader è Recep Tayyip Erdogan, allora primo ministro della Turchia. Nate inizialmente per contestare la costruzione di un centro commerciale e una moschea nel parco di Gezi, le proteste avevano visto una violenta risposta da parte delle forze di polizia, che aveva portato a centinaia di feriti negli scontri e oltre 1700 arresti. Il movimento aveva quindi velocemente assunto i toni di una vera e propria manifestazione di dissenso contro la deriva autoritaria del governo turco, il cui primo ministro Erdogan veniva identificato come un dittatore. La stagione di contestazioni vide un vero e proprio rifiorire dell’opposizione e dell’attivismo politico, che subì una violenta repressione da parte dello Stato.

Altre accuse mosse nei confronti di Kavala, dalle quali è stato poi assolto, riguardavano l’attività di spionaggio per il suo supposto coinvolgimento nel colpo di stato militare avvenuto nella notte tra il 15 e il 16 luglio 2016, quando un gruppo di membri delle forze armate turche aveva tentato di rovesciare il Parlamento, il governo e il presidente della Turchia. Durante quella notte oltre 250 persone furono uccise e più di 2500 i feriti.

Alla base della detenzione preventiva imposta nel 2017 vi era l’accusa nei confronti di Kavala di aver guidato contro il governo un’insurrezione composta da numerose “organizzazioni terroristiche”. Tale accusa, come denunciato da Amnesty [3]viene utilizzata spesso dal governo turco per incarcerare dissidenti e oppositori politici. Il suo caso è giunto fino ai banchi della CEDU [4], che nel 2019 ne ha sollecitato la scarcerazione in quanto ritenuta non giustificata. Le accuse nei suoi confronti, avevano sostenuto i giudici della Corte europea, erano “al di là di ogni ragionevole dubbio” volte a “ridurre al silenzio il signor Kavala e con lui tutti i difensori dei diritti umani”. Ankara aveva tuttavia ignorato l’ordine di scarcerazione, ritenendola non vincolante.

La detenzione di Kavala ha rischiato anche di scatenare una crisi diplomatica, quando Erdogan ha ordinato al ministro degli Esteri di dichiarare [5] “persone non grate” 10 ambasciatori occidentali in Turchia firmatari di un appello per la scarcerazione del filantropo.

Il direttore di Amnesty International per l’Europa, Nils Muižnieks [6], ha definito il caso di Kavala e la sua condanna all’ergastolo come “una parodia della giustizia di dimensioni spettacolari”, in quanto “la sentenza sfida ogni logica. La pubblica accusa non è mai stata in grado di portare prove a sostegno dell’accusa. Questo verdetto ingiusto dimostra che il processo aveva l’unico scopo di tappare la bocca a delle voci indipendenti”.

Kavala, che ha sempre sostenuto che la propria incarcerazione fosse motivata dalle posizioni critiche mantenute nei confronti del governo turco, ha un’ultima possibilità di appellarsi alla decisione sperando in un’annullamento della sentenza. I suoi avvocati hanno dichiarato di voler presentare ricorso per un processo di secondo grado presso la CEDU.

[di Valeria Casolaro]