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La Corte di Londra emette l’ordine di estradizione negli USA per Julian Assange

La Corte dei Magistrati di Westminster ha emesso [1] oggi un ordine formale di estradizione nei confronti di Julian Assange, autorizzandone il trasferimento negli Stati Uniti. Ora manca solamente la conferma del ministro dell’Interno Priti Patel, che giungerà tra un massimo di 4 settimane. In questo periodo di tempo la difesa di Assange potrà fare appello per richiedere l’annullamento. Se il trasferimento venisse definitivamente confermato, infatti, Assange rischierebbe 175 anni di carcere in una prigione di massima sicurezza con l’accusa di spionaggio, rischiando di essere sottoposto a tortura e trattamenti inumani durante il periodo detentivo.

Sono infatti numerose le associazioni internazionali, tra le quali Amnesty International [2], che hanno dichiarato con forza che le rassicurazioni statunitensi sul fatto di riservare un trattamento dignitoso al giornalista in carcere sono “del tutto infondate”. La sua estradizione rappresenterebbe, inoltre, un pericoloso precedente per i professionisti dell’informazione in tutto il mondo, che rischierebbero di essere perseguiti e incarcerati semplicemente per aver fatto il proprio mestiere.

In attesa del verdetto definitivo la piattaforma Reporters Sans Frontieres (RSF) ha lanciato una nuova petizione [3] per chiedere al ministro dell’Interno inglese Priti Patel di impedire l’estradizione. “Le prossime quattro settimane saranno cruciali nella lotta per bloccare l’estradizione e garantire il rilascio di Julian Assange” scrive sul proprio sito RSF. “Il Ministro degli Interni deve agire ora per proteggere il giornalismo e rispettare l’impegno del Regno Unito per la libertà dei media, rifiutando l’ordine di estradizione e rilasciando Assange”.

Julian Assange si trova da oltre due anni e mezzo nella prigione di massima sicurezza HM Prison di Belmarsh, a Londra. Contro di lui Washington ha formulato accuse di cospirazione e spionaggio per aver diffuso documenti classificati degli Stati Uniti che mostrano gli abusi dell’esercito statunitense ai danni della popolazione civile nei contesti di guerra.

[di Valeria Casolaro]