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La nuova idea del governo: contro l’astensionismo serve il pass elettorale digitale

La Commissione di studio sul fenomeno dell’astensionismo elettorale ha formulato diverse misure per favorire la partecipazione dei cittadini alle elezioni. La proposta consentirebbe nuove modalità di espressione del voto, in particolare la votazione anticipata presso uffici postali e comunali (da dove le schede verrebbero spedite, e scrutinate, al seggio naturale)  attraverso l’istituzione di una tessera elettorale digitale, già ribattezzata election pass. Proprio come la certificazione verde, andrebbe scaricata sul proprio cellulare o stampata, per poi essere presentata al momento delle elezioni che, secondo la proposta della Commissione voluta dal ministro per i Rapporti con il Parlamento Federico d’Incà, andrebbero concentrate in due appuntamenti: uno primaverile e l’altro autunnale, così da limitare i disagi dovuti alle interruzioni didattiche per tutte quelle scuole adibite a seggi.

Alla votazione anticipata si aggiunge poi la possibilità di votare “in contemporanea”, in un seggio diverso da quello naturale o in hub elettorali temporanei (sul modello di quelli allestiti per le vaccinazioni), magari più accessibili perché vicini al territorio in cui si vive. Si tratterebbe di un’opportunità per i lavoratori e studenti fuori sede (4,9 milioni) o per gli anziani con gravi difficoltà motorie (2,9 milioni) che comunque non deve far distogliere lo sguardo dalle motivazioni principali dell’astensionismo: indifferenza, poca attrazione dall’offerta politica e sfiducia. Nel momento in cui le scelte dei cittadini vengono tradite, ormai sistematicamente, è difficile ricucire poi il rapporto, non solo con la forza politica in questione ma con tutto il sistema. Non a caso, come sottolinea lo stesso D’Incà, “alle Politiche del 1948 votò il 92% degli italiani, mentre nel 2018 poco meno del 73%”. Cos’è cambiato? Praticamente tutto. Nel 1948 il senso di appartenenza da parte dei cittadini alla vita politica e alla cosa pubblica era massimo, “favorito” da due anni di guerra civile, in cui si era combattuto per la democrazia e per la libertà. Poi sono arrivati i primi tradimenti dalla classe politica, con cui fino a qualche mese prima si era combattuto gomito a gomito. Paradossalmente avremmo potuto assistere al fenomeno dell’astensionismo anche tra gli anni ’50 e ’60, ma ciò non è accaduto per via di un compromesso: il boom economico. È vero, da un lato dilagava la consapevolezza di un sistema politico corrotto, ma dall’altro si sorvolava perché c’era il benessere economico, un miraggio dopo anni di sofferenza causati dalla guerra.

Così, andando avanti nel tempo, è sempre esistito un collante che faceva da contraltare alla consapevolezza di una classe politica corrotta. Oggi il collante è svanito: crisi del 2008 e pandemia hanno mostrato i nervi scoperti di un rapporto tossico fra cittadini e rappresentanti, fatto di sfiducia e di indifferenza. Ultima l’esperienza del 2018, quando circa 15 milioni di italiani (il 50% di chi si presentò alle urne) votarono [1] due partiti definibili allora anti-sistema: Lega e M5S, accomunati dalla lotta all’euro. Dopo tre anni entrambi sono entrati a far parte di un Governo tecnico, ben visto dall’Unione europea e a suo supporto. Si tratta soltanto di una delle tante incongruenze a cui si è assistito negli ultimi decenni, che hanno mostrato come il problema dell’astensionismo affondi le radici in un sistema che andrebbe rivisto a tutela degli elettori, per non trattarli più come semplice strumento a cadenza cinquennale ma come fonte e riferimento.

[Di Salvatore Toscano]