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Il business della clonazione animale

Bastano un paio di cellule prelevate da un orecchio, qualche migliaio di dollari e un anno di tempo perché il vostro animaletto domestico defunto possa tornare a scorrazzare allegramente per il salotto di casa. O meglio, non propriamente lui, ma un suo clone, una creatura geneticamente identica che condivide con il compianto compagno tutti i tratti fisici che lo caratterizzavano. Questo è il business model su cui l’azienda texana ViaGen sta costruendo la propria fortuna.

L’impresa è nata nell’ormai lontano 2002 con l’obiettivo originale di permettere agli allevatori di preservare il DNA di bovini, suini ed equini di qualità particolarmente rinomata. Da allora l’impresa si è fatta protagonista di fusioni e assorbimenti, intrecciandosi con Intrexon e Trans Ova Genetics e specializzandosi nella fecondazione in vitro. Nel 2015 ha dunque aperto i suoi laboratori agli animali d’appartamento, varando infine il ramo “Pets” della propria attività. Se la pratica della clonazione animale vi richiama alla memoria l’episodio della pecora Dolly, non siete affatto in errore: nel 2003 ViaGen ha inglobato la statunitense Prolinea, ottenendo di conseguenza anche i diritti sulle tecnologie di clonazione sviluppate dal Roslin Institute di Edimburgo, Scozia, istituto famoso proprio per aver clonato il celebre ovino.

Con “soli” 1.600 dollari è possibile prelevare e preservare le cellule dell’animale prediletto, quindi ne servono almeno altri 35.000 per clonare un gatto, cifra che sale a 50.000 se invece si preferisce finanziare la copia di un cane. Cifre impressionanti che non fanno desistere celebrità quali Barbra Streisand [1] – la quale ha fatto clonare per ben due volte il suo defunto Coton de Tuléar -, ma che tuttavia sono prese seriamente in considerazione anche da persone dalle risorse più contenute.

Stando alle statistiche offerte da ViaGen Pets, circa il 10% delle persone che iberna il DNA dei propri animali finisce prima o poi per procedere con la clonazione, anche se ci volessero anni per racimolare la somma necessaria a finanziare l’operazione. Inutile dire che si sollevi immediatamente un dubbio deontologico, ovvero vien da chiedersi se sia opportuno spendere decine di migliaia di dollari per finanziare un laboratorio quando, parallelamente, vi sono centinaia di trovatelli che rischiano di terminare la propria esistenza in canili e strutture di accoglienza. A questo quesito si somma dunque la consapevolezza che il clone non riporterà mai in vita l’animale originale e che i retroscena di laboratorio potrebbero essere complessi e poco gradevoli.

Seppure siano passati quasi trent’anni dal successo di Dolly, le tecniche di clonazione sono lungi dall’essere perfette, quindi non è insolito che gli embrioni sviluppino anomalie e mutazioni che portano la madre surrogata ad abortire il feto o a partorire una creatura dotata di pochi attimi di vita. Anche se il processo dovesse andare a buon fine, bisogna inoltre tenere a mente che il carattere di un essere vivente si sviluppa anche, se non soprattutto, attraverso alle esperienze vissute sulla propria pelle, quindi due animali possono maturare caratteri profondamente divergenti pur partendo da una medesima genetica.

In questi anni di attività, ViaGen Pets ha preferito mantenere un profilo estremamente basso, reclamizzando la propria esistenza solamente attraverso il passaparola dei clienti, tuttavia pare che l’impresa sia ormai pronta a farsi notare del mondo, convinta della solidità di un prodotto potenzialmente controverso che, in ogni caso, già conta centinaia di acquirenti. Di quante centinaia si stia parlando è difficile a dirsi, ViaGen non ci tiene particolarmente ad approfondire l’argomento.

[di Walter Ferri]