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Consiglio di Stato: no agli sgomberi senza tutelare chi è in difficoltà

Il Consiglio di Stato, in una sentenza di fondamentale importanza del 16 marzo scorso, ha determinato che l’esecuzione degli sfratti non può avvenire se non con previa messa in atto di misure assistenziali per le famiglie che vertano in uno stato di fragilità sociale ed economica. Niente più sfratti a sorpresa portati a termine dalle forze dell’ordine, quindi: questi vanno invece pianificati e devono essere preceduti da concreti interventi di aiuto da parte dei Comuni. La sentenza, che si pronunciava nello specifico per un caso riguardante Roma, ha portata nazionale, contribuendo a definire una nuova prassi della messa in atto degli sfratti.

La questione degli sgomberi delle famiglie in condizioni di fragilità economica e sociale non è materia di ordine pubblico: a stabilirlo è una sentenza del Consiglio di Stato emessa il 16 marzo scorso. Lo rende noto è l’attivista Massimo Pasquini [1] in un post pubblicato sul blog de Il Fatto Quotidiano. La sentenza, spiega Pasquini, segue un ricorso presentato da Roma Capitale contro Investire SGR spa, società di gestione patrimoniale con un patrimonio di 7 miliardi di euro, proprietaria di un immobile occupato nella città di Roma. La società era ricorsa al Tar del Lazio per chiedere una velocizzazione delle procedure di sgombero, sostenendo che il Prefetto e il Comune non stessero agendo in questo senso. La disputa è giunta al Consiglio di Stato il quale, nell’emettere la sentenza, ha sottolineato come negli sgomberi sia di prioritaria importanza mantenere i livelli essenziali di assistenza alle famiglie interessate, garantendone il rispetto dei diritti, in primo luogo il passaggio da casa a casa.

La sentenza si rifà all’art. 31-ter della legge 132/2018, secondo la quale deve essere prevista “una apposita cabina di regia che vede la presenza di rappresentanti della Prefettura, della Regione, del Comune e dell’ente competente in materia di edilizia residenziale pubblica” affinché si organizzino per effettuare lo sgombero nel rispetto dei diritti primari delle famiglie in condizioni di fragilità. Secondo la sentenza, infatti, “il Prefetto di Roma non può dare esecuzione allo sgombero in assenza di contestuali concrete azioni di tutela delle fragilità economiche e sociali degli occupanti abusivi alla cui realizzazione sono chiamate la Regione Lazio e Roma Capitale”. Gli sgomberi non possono perciò avvenire senza preavviso, ma devono essere programmati e avvenire insieme alla ricezione di adeguata e concreta assistenza da parte della Regione e del Comune.

Come sottolinea Pasquini, ciò che emerge in particolar modo da questa sentenza è che “il diritto ad abitare è prioritario al diritto alla proprietà privata persino nei casi di occupazione abusiva determinata da bisogni insopprimibili”. In conseguenza a ciò, “Regioni e comuni dovrebbero quindi dotarsi di un adeguato parco di alloggi pubblici”. Le stesse conclusioni vengono tratte nella ricerca [2] effettuata dalla società Nomisma e da Federcasa pubblicata nel maggio 2020, che spiega come il disagio abitativo in Italia riguardi poco meno di 1,4 milioni di famiglie, il 5,7% del totale delle famiglie italiane, mentre sono 1,674 milioni gli individui che vivono in condizioni di povertà assoluta (dati riferiti al 2019). La spesa media per il canone di affitto è tra i 380 e i 450 euro: se queste cifre venissero ridotte a 200 euro, secondo la ricerca, il numero di famiglie in disagio abitativo passerebbe da oltre un milione a 363 mila nuclei.

Inoltre, come denuncia la ricerca, il patrimonio di edilizia residenziale pubblica “è ancora caratterizzato, in troppi casi, da gravi condizioni di degrado e problemi di manutenzione e riqualificazione”. L’accesso agli alloggi sociali risulta, inoltre, estremamente limitato, data “la scarsità dei finanziamenti”, le “difficoltà di coordinamento tra diversi livelli di governo” e la “mancanza di una visione d’insieme strategica”. Inoltre, “Solo il 4% della popolazione ha accesso al canone agevolato e tutti gli indicatori disponibili rilevano un elevato e crescente disagio abitativo”.

Come sottolineato anche da Pasquini, è quindi necessario che l’Italia “avvii politiche abitative pubbliche e di aumento della disponibilità di case popolari a canone sociale, se si vuole affrontare seriamente la questione abitativa”.

[di Valeria Casolaro]