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Colombia, via libera al fracking: la protesta invade le strade

In Colombia è stato dato il via libera all’estrazione di idrocarburi fossili mediante fracking – o fratturazione idraulica – una controversa pratica a detta di molti altamente impattante sul territorio. Le proteste di opposizione al progetto stanno così iniziando a diffondersi in tutto il Paese e il governo, intanto, è stato già travolto di critiche. Si tratta del primo sito del genere nell’intera storia della nazione. A concedere l’autorizzazione, l’Autorità colombiana sulle licenze ambientali, a quanto pare, senza la partecipazione ampia e informata delle comunità interessate. Motivo per cui molti cittadini si sono riversati nelle piazze col tentativo di ribaltare la decisione. Anche a costo di venir minacciati: la Colombia, infatti, è ancora al primo posto per delitti nei confronti dei difensori dell’ambiente.

Il sito interessa il dipartimento di Santander, più precisamente Puerto Wilches. Qui, ad opera della Ecopetrol, la compagnia petrolifera controllata dallo stato, verranno installati una piattaforma e un pozzo di perforazione. La Valutazione ambientale del progetto pilota ha già ottenuto parere positivo, mentre per un vero e proprio sfruttamento a fini commerciali bisognerà attendere la delibera di un’apposita commissione. L’esito, tuttavia, appare fin da ora scontato. La Colombia, difatti, è tra i Paesi in via di sviluppo maggiormente vincolati alle fonti fossili dove, nel solo 2020, la produzione di petrolio ha toccato una media di oltre 730 mila barili al giorno. È altamente probabile, quindi, che le Autorità tirino dritto senza considerare che – come ha dichiarato [1] una giovane attivista, peraltro, vittima di intimidazioni proprio a causa delle sue posizioni – «la zona oggetto dei test è forse la più biodiversa della Colombia, ricca di acqua, animali e zone verdi». Biodiversità che ora sarà soggetta ad un’ulteriore pressione. Nemmeno la salute pubblica è tuttavia al sicuro.

Il fracking è un’attività estrattiva, promossa dagli Stati Uniti fin dai primi anni 2000, finalizzata a ricavare petrolio e gas di scisto da rocce argillose nel sottosuolo. La tecnica consiste in una prima perforazione finalizzata a raggiungere i giacimenti nei quali, successivamente, si inietta ad alta pressione una miscela di acqua, sabbia e prodotti chimici di sintesi allo scopo di facilitare la fuoriuscita degli idrocarburi. Ad oggi, le criticità legate a questa pratica sono almeno tre. In primo luogo, alla luce delle grandi quantità di acqua richieste, va citato l’enorme spreco idrico: basti pensare che ogni pozzo avrebbe bisogno tra i 100 mila e i 27 milioni di litri d’acqua. Segue la potenziale contaminazione delle falde acquifere e del suolo poiché gran parte del liquido iniettato, contenente in media 14 differenti additivi chimici, non riemerge. Secondo un rapporto [2] dell’Agenzia per la protezione ambientale degli Stati Uniti, le compagnie petrolifere possono utilizzare fino a 700 sostanze diverse: acido cloridrico, metanolo e distillati del petrolio sono le più frequenti, ma non mancano prodotti biocidi ed altri solventi. Infine, dulcis in fundo, le operazioni fin qui citate rischiano perfino di indurre – come dimostrato da diversi studi [3]scosse sismiche lievi e moderate. Nella speranza che non vengano messa a tacere, le motivazioni per protestare, in Colombia come altrove, appaiono quindi numerose e valide.

[di Simone Valeri]