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Libertà è partecipazione e autogestione: reportage da un liceo occupato

Milano si è svegliata sotto un cielo terso questa mattina, e negli squarci di strada illuminata dal sole tiepido si respira aria di primavera precoce. Piazza Ascoli è avvolta da un silenzio quasi surreale, fatta eccezione per il metallico sferragliare dei vecchi tram gialli che fanno su e giù per via Giovanni Pascoli. Sul lato sud della piazza si staglia imponente il liceo Virgilio, la cui austera solennità di edificio in stile fascista degli anni ’30 è mitigata dalla moltitudine di graffiti che ne ricoprono buona parte della facciata. Con i suoi 1800 studenti, divisi tra i vari indirizzi, il Virgilio è il liceo più grande di Milano. Non fosse per la presenza di due lunghi striscioni che recano la scritta “Virgilio occupato”, penzolanti dalle finestre del secondo piano, nulla all’apparenza suggerirebbe qualcosa di anomalo.

Isabella mi viene incontro dal bar all’angolo sfoggiando un sorriso luminoso: ha gli occhi cerchiati per le notti in bianco ed è quasi del tutto afona, ma fa del suo meglio per spiegarmi l’iniziativa degli studenti del Virgilio. «Ho urlato troppo i giorni scorsi, ma oggi va già meglio di ieri» mi dice ridendo, in un soffio di voce. Lei è una studentessa dell’ultimo anno e rappresentante del CAV, il Collettivo Autonomo Virgilio, che si è occupato di organizzare l’occupazione di tre giorni che oggi giungerà al termine. Per tutta la durata dell’occupazione, insieme ad un centinaio di altri studenti, ha dormito in un sacco a pelo all’interno della scuola. Non appena varcata la soglia dell’ingresso, un brusio di voci e di musica spezza il silenzio di poco prima. L’interno del liceo Virgilio brulica di vita: gruppi di studenti si affrettano su e giù per i corridoi, altri sono ancora chiusi all’interno delle aule dove si svolgono i laboratori. Un grosso tabellone, all’ingresso, mappa le attività che si sono tenute nel corso della giornata. «Stamattina si chiudono le ultime attività e i laboratori, poi dobbiamo pulire tutto ed essere fuori entro oggi pomeriggio» mi dice Isabella, spiegandomi le ragioni di quel gran fermento.

Studenti in cortile [foto di Valeria Casolaro per L’Indipendente]
«È stata una bella esperienza, c’è stata moltissima partecipazione» mi racconta, mentre camminiamo per i corridoi. Ad attirare immediatamente la mia attenzione sono alcune barricate che gli studenti hanno eretto qua e là di fronte ad alcuni ingressi con banchi, sedie ed armadi. «Il primo giorno le abbiamo messe perché volevamo impedire l’accesso dei professori, poi sono state piazzate in certi punti precisi perché i ragazzini delle medie non potessero passare da questa parte» mi spiega Isabella, alludendo agli studenti della scuola media Giovanni Battista Tiepolo, adiacente al Virgilio. Sembra soddisfatta di come si sono svolti questi giorni di occupazione. «Il preside non ha voluto concederci più di tre giorni, ma ha capito le nostre esigenze e ciò che volevamo fare. Era completamente d’accordo con le nostre rivendicazioni, ma non con tutti i professori è stato così. Anzi, credo che molti non abbiano davvero capito cosa stavamo facendo». Nel complesso, l’iniziativa ha visto un’altissima partecipazione studentesca. «Il primo giorno saremo stati un migliaio di studenti, ma è stato il secondo quello che è andato meglio: i laboratori erano tutti strapieni». Nel corso di queste tre giornate i ragazzi sono riusciti ad organizzare un discreto numero di incontri: a tenere laboratori sono venuti rappresentanti di varie realtà tra le quali Fridays for future, Extintion rebellion e Non una di meno. Di quest’ultimo, svoltosi in palestra, riesco ad ascoltare qualche breve battuta, prima che si concluda: si parla di revenge porn e diffusione di immagini private online. «Una delle signore che tenevano l’incontro è una nostra professoressa» mi dice con un sorriso Isabella, «è una delle poche che credo ci abbia sostenuti veramente».

Le barriere costruite dagli studenti [foto di Valeria Casolaro per L’Indipendente]

Le rivendicazioni dei ragazzi

Le rivendicazioni che hanno spinto i giovani del Virgilio ad unirsi all’onda di contestazioni ed occupazioni svoltesi in tutta Italia sono in linea con le principali istanze di questa stagione di proteste studentesche: abolizione della seconda prova di maturità (reintrodotta a metà febbraio), cancellazione dei percorsi di alternanza scuola-lavoro e un maggiore investimento nella qualità della scuola, in termini economici ma non solo. «A Milano vi sono livelli altissimi di speculazione edilizia, molte scuole sono in stato di abbandono: c’è bisogno di maggiori investimenti tanto nelle infrastrutture quanto nel benessere degli studenti in generale» afferma Isabella. In effetti il liceo Virgilio non rifulge certo per la modernità della sua struttura, nonostante il vicepreside tenga molto a precisarmi, più tardi, che non vi sono rischi di alcun tipo per la sicurezza di coloro che vi si trovano all’interno. «Avremmo bisogno di un certo numero di interventi di ammodernamento, quello sì, e speriamo che arrivino i fondi del Pnrr per poterli mettere in atto».

Per quanto riguarda i PCTO, i Percorsi per le Competenze Trasversali e l’Orientamento (anche detti percorsi di alternanza scuola-lavoro), Isabella stessa riconosce che ciò che viene proposto nel loro istituto è qualcosa di molto diverso rispetto al percorso degli studenti dei Centri di Formazione Professionale (CFP), i quali prevedono veri e propri iter formativi all’interno delle aziende. In quest’ultimo contesto hanno trovato la morte Lorenzo Parelli [1] e Giuseppe Lenoci, rispettivamente di 18 e 16 anni. «Ciò che facciamo noi sono per lo più di percorsi online, per i quali dobbiamo stare per ore davanti al computer e fondamentalmente si impara poco o niente». Dichiarazioni molto simili a quelle che ho ascoltato nel corso dei cortei e delle proteste studentesche svoltesi a Torino in queste settimane.

Bacheca delle attività [foto di Valeria Casolaro per L’Indipendente]

Un irruente bisogno di socialità e libertà

Ma ad infiammare gli animi degli studenti di questo istituto in particolare vi è qualcosa d’altro, una necessità che va oltre le pure rivendicazioni di carattere politico. Ciò che si respira nei corridoi, nelle aule e negli angoli del cortile dove gruppetti di ragazzi giocano a pallavolo, a calcio o cantano seduti in terra intorno a una chitarra, è un irruente bisogno di socialità e libertà. Due anni di pandemia hanno profondamente segnato il benessere fisico e psicologico dei giovani: lo dimostrano decine di studi [2] pubblicati in questi mesi, che mostrano l’impatto che pratiche alienanti quali la DAD e l’impossibilità di svolgere attività fisica o avere spazi di condivisione e socializzazione ha avuto sul benessere di bambini e adolescenti. E proprio sulla necessità di curare il benessere mentale degli studenti Isabella si concentra maggiormente. «Grazie ai laboratori svolti in questi giorni è venuto fuori un dato sconcertante: almeno un terzo delle persone nel nostro istituto soffre di disturbi dell’alimentazione». In un contesto del genere, la richiesta di ritorno alla normalità diviene un urlo assordante, come l’esigenza del ritorno a una scuola che non sia solo luogo di apprendimento di nozioni ma anche di sviluppo di relazioni sociali, di amicizie, di legami, di scambio. «Non ci conoscevamo per niente prima di quest’occupazione, ora invece abbiamo socializzato, ci siamo ripresi i nostri spazi» mi dice Ulisse, studente del quarto anno anch’egli rappresentante del CAV.

Quest’esigenza, in parte, sembra comprenderla anche il vicepreside dell’istituto, il quale come altri professori è rimasto all’interno del liceo durante l’occupazione, pur non interferendo con le attività degli studenti. «Capisco l’esplosione che c’è stata, il bisogno degli studenti di socialità soprattutto. Sono stati due anni difficili per noi come per loro, c’è stato bisogno di fare questa cosa da parte degli studenti soprattutto per rivivere la socialità che la pandemia ha sottratto. Io non condivido le modalità con le quali ciò è stato fatto, perché trovo che siano poco costruttive, ma comprendo». Tra i professori presenti, non tutti sembrano altrettanto comprensivi. Le parole di una docente, in particolare, mi colpiscono: si chiede, con sincera disperazione, se proprio questo fosse il momento di fare una cosa del genere. L’allusione è alla guerra in Ucraina. Gli occhi le si velano di lacrime, a suggellare l’onestà del suo sconcerto. Non posso non provare un certo sgomento di fronte a tali affermazioni, che con la vecchia cantilena del “c’è chi sta peggio” sembrano voler delegittimare per intero le richieste degli studenti e spogliarle di significato. Mi verrebbe poi da chiederle se questa preoccupazione abbia valore anche in riferimento ad altri contesti, considerato che le guerre nel mondo c’erano anche prima dello scoppio del conflitto ucraino, ma decido di lasciar perdere.

Assemblea plenaria di fine occupazione [foto di Valeria Casolaro per L’Indipendente]
Durante l’assemblea plenaria, durante la quale viene fatto il punto della situazione, una studentessa interviene commentando «Sono contenta di come si è svolta quest’occupazione soprattutto perché abbiamo recuperato la socialità che col Covid era venuta a mancare. Abbiamo lanciato un messaggio: sappiamo autogestirci e sappiamo vivere bene la scuola». La maggior parte dei commenti sono sulla stessa linea. Dopo l’assemblea, i ragazzi ordinano alcune pizze da dividere dal bar di fronte alla scuola e organizzano le pulizie conclusive, mentre io mi avvio verso l’uscita. In un angolo di corridoio, vicino all’atrio, vi è appoggiato in terra un grande quadro, dipinto durante questi giorni di occupazione. Tra le pennellate astratte di colore si legge una scritta: “Libertà è partecipazione/occupazione”, con le due parole che si incastrano tra loro. Esco dall’ingresso principale con la sensazione che un pezzetto di normalità sia finalmente tornato al suo posto.

Un murales celebra l’occupazione, Lorenzo e Giuseppe sono i due giovani studenti morti quest’anno durante l’alternanza scuola-lavoro

 

[di Valeria Casolaro]